I vescovi tedeschi contro la chiesa immobile del Papa

Di Marco Marzano
11 Febbraio 2019

La chiesa cattolica tedesca è in fibrillazione. A fine dicembre, il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer, ha dichiarato al giornalista che lo intervistava (il testo italiano è stato pubblicato su Settimana News) che “l’abuso di potere è insisto nel Dna della Chiesa”, che lo scandalo dei crimini sessuali commessi dal clero ha rappresentato per l’immagine della Chiesa uno shock di entità paragonabile al sacco di Roma da parte dei Visigoti nel Quinto secolo e che è necessario ammettere che il problema non riguarda solo i singoli, ma che nella Chiesa vi sono “strutture di male”. E che c’è qualcosa che non funziona nel modo in cui il cattolicesimo è da secoli organizzato. La soluzione, per il vescovo Wilmer, è rappresentata dalla sistematica e completa demolizione dell’autoritarismo clericale e dall’avvio di un processo di “democratizzazione”, dall’attivazione “di un controllo del potere nella Chiesa, di una distinzione dei poteri, di un sistema di pesi e contrappesi”.

Ora è la volta di nove autorevoli intellettuali e dirigenti ecclesiastici sempre tedeschi. I nove hanno indirizzato una “lettera aperta” al Cardinal Marx in vista della imminente riunione in Vaticano dei presidenti delle conferenze episcopali di tutto il mondo. Nel testo della lettera (pubblicata in italiano dal www.finesettimana.org), si legge che gli abusi nella Chiesa hanno “cause sistemiche”, dal momento che la Chiesa attira, per come è oggi strutturata, molte persone appartenenti a “gruppi a rischio”. “I tabù sessuali – si legge – bloccano i necessari processi di chiarimento e di maturazione”. I nove proseguono affermando che il tempo delle indecisioni è terminato e che, se vuole evitare che i suoi fedeli la abbandonino del tutto, la Chiesa Cattolica deve evitare la tentazione di sentirsi vittima di un complotto ordito ai suoi danni da laici cattivi e sbarazzarsi del suo “ordinamento pre-moderno”. Per fare questo sono necessarie, a parere dei firmatari della lettera, alcune riforme (le stesse che ho indicato nel libro “La Chiesa immobile. Francesco e la rivoluzione mancata”) e cioè: una reale suddivisione dei poteri che eviti di concentrarli tutti nelle mani del papa e della curia romana, l’ordinazione sacerdotale delle donne, l’abolizione del celibato obbligatorio e il ripensamento della morale sessuale, “compresa una valutazione intelligente e onesta dell’omosessualità”.

I segnali di inquietudine che giungono dalla Germania indicano la persistente vitalità del progressismo cattolico tedesco, capace di non fare sconti ai papi, a tutti i papi, e perciò di chiedere oggi a Bergoglio quello che già chiese, senza ottenere nulla, a Wojtyla e a Ratzinger. Esibendo questo atteggiamento, la sinistra cattolica tedesca si dimostra, a differenza di quella italiana, viva e ragionante, capace perciò di non confondere la personalità del pontefice e le novità del suo linguaggio dalle azioni concrete che egli ha sinora intrapreso e quindi di concludere implicitamente che la chiesa di Bergoglio è, dal punto di vista pratico e politico, attestata sugli stessi orientamenti di fondo di quelle che l’hanno preceduta.

Ma è facile pronostico prevedere che l’effetto concreto di documenti come quello tedesco sarà pari a zero. C’è da chiedersi a questo punto quale sia l’utilità di simili petizioni e soprattutto perché esse vengano immancabilmente rivolte ai vescovi e al pontefice. In un’organizzazione autoritaria, gerarchica, non democratica e monarchica come la Chiesa Cattolica non solo prevale una tendenza conservatrice e autoreferenziale, ma i dirigenti non sono tenuti a rispondere alla base, essendo del tutto autorizzati a ignorare, in nome di una supposta loro maggior prossimità con il volere divino, le istanze che vengono dai fedeli. Non sarebbe preferibile seguire il metodo di Lutero e iniziare a minacciare, se persisterà l’assoluto immobilismo, l’abbandono della barca e l’approdo ad altri territori ecclesiali, più sensibili e interessati ad un rapporto meno ostile con la modernità e i suoi valori?

Invece che riporre tante speranze in una gerarchia da sempre sorda a ogni appello riformatore, sarebbe più proficuo, per i progressisti, tentare la via della mobilitazione diretta, provare ad avviare la sottoscrizione di un documento da far girare in tutte le parrocchie d’Europa o organizzare una o più manifestazioni pubbliche per denunciare la paralisi culturale, spirituale e organizzativa imposta a un miliardo di fedeli cattolici da un’elite di anziani maschi celibi. In questo modo, anche se non ottenessero alcun risultato pratico, i cattolici progressisti mostrerebbero di essere finalmente diventati adulti, di aver smesso di immaginare che ogni cambiamento per essere legittimo debba giungere come concessione dall’alto.

Tutto questo presenta un rischio gigantesco: quello che le piazze restino vuote, che la mobilitazione fallisca perché la gente non crede possibile cambiare la Chiesa Cattolica o perché ormai è disinteressata a che ciò avvenga. Sarebbe per molti un finale triste, ma almeno metterebbe tutti, cattolici e non, di fronte alla cruda realtà del nostro tempo.

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