Trattative

Governo, il Colle: “Fuori Savona”. Ma Salvini non cede. I tre possibili scenari

Muro contro muro - Pressing su Di Maio per mollare l’economista

Di Fabrizio d’Esposito
25 Maggio 2018

Alla pugna finale contro Paolo Savona all’Economia. E la nota del Quirinale che trapela ufficiosamente nel pomeriggio mostra la prima novità del parto di governo. Un’innovazione della prassi costituzionale, che nel caso diventa soprattutto sostanza politica. Ché il capo dello Stato non solo ribalta la vulgata corrente sull’anziano economista, a suo giudizio imposta dalla Lega: “Il Colle non mette presunti veti”, al contrario “non può subire inammissibili diktat”. Cioè la quotidiana difesa di Savona da parte di Matteo Salvini e dell’intero Carroccio. Ma rivendica, il Quirinale, le prerogative costituzionali per sé e, questa la novità, per il presidente del Consiglio.

Un unicum, mai visto. Il presidente della Repubblica che difende l’autonomia del premier: non sono ammissibili, quindi, diktat “nei confronti del presidente del Consiglio e del presidente della Repubblica nell’esercizio delle funzioni che la Costituzione attribuisce a tutti due”. È la plastica conferma che, dopo l’incarico di mercoledì scorso, il professore Giuseppe Conte condivide le valutazioni negative del Colle sulla nomina di Savona in un dicastero chiave agli occhi dell’Unione europea. Una sorta di cartina di tornasole per verificare l’affidabilità del primo governo sovranista nel cuore dell’Europa occidentale. Contro le “due prerogative” si è però subito alzata di nuovo la voce di Salvini: “Nessun diktat, ma Savona è il nome migliore”.

L’obiettivo vero della nota del Colle è quello di aumentare il pressing su Luigi Di Maio per convincerlo a isolare il leader leghista e ottenere una lista dei ministri (oggi, ma più probabilmente domani) senza il fatidico nome. La soluzione ideale per il presidente della Repubblica sarebbe una lista con il nome di Giancarlo Giorgetti, lo sherpa salviniano, al posto di Savona. E se non dovesse accadere? A quel punto la sfida tra Mattarella e Salvini è da tripla. Tre possibili scenari. Il primo decisamente hard, conseguenza dell’indurimento mostrato ieri con la nota.

Questo: il Quirinale riceve Conte, legge la lista con Savona e mette il premier incaricato dinnanzi a un bivio: o ti prendi tu l’interim oppure rimetti il mandato. È la strada della rottura dell’intesa gialloverde, peraltro tornata a circolare ieri dopo il breve colloquio tra Salvini e Berlusconi, incrociatisi durante le consultazioni del professore. È la tesi, questa, di quanti dentro la Lega sperano che Salvini usi la questione Savona per tirarsi indietro all’ultimo minuto e ritornare nel centrodestra a pieno titolo. In ogni caso, a Salvini, B. avrebbe chiesto garanzie sui nomi alla Giustizia e allo Sviluppo economico (a dire il vero destinato a Di Maio) che ha in pancia le amate Comunicazioni.

Il secondo risultato vira su un esito mediamente soft. Ché è vero che al momento non è previsto “alcun cedimento” al Colle sull’economista. Ma la politica è “l’arte del compromesso” e magari un’abiura pubblica di Savona sulle “sue posizioni anti-euro” chiuderebbe la vicenda. Non solo, e questa è la terza e ultima possibilità. Cioè un compromesso ancora più indolore basato sull’incontro che oggi Conte avrà con Ignazio Visco, il governatore della Banca d’Italia. Una mossa che sarebbe stata ispirata proprio da Mattarella.

Ecco: alla fine del colloquio, Conte potrebbe farebbe (un po’ come l’altro giorno nella prima parte delle sue dichiarazioni alla stampa dopo l’incarico) una solenne professione di fede nell’eurozona, giurando che il suo governo non parlerà mai dell’uscita dalla moneta unica dell’Ue. In questo caso, il premier diventerebbe il garante di Savona ministro dell’Economia e il tormentone finirebbe, senza più altre complicazioni e tensioni tra Mattarella e la Lega.

Queste tre ipotesi sono al centro delle riflessioni di Mattarella. La sua speranza è che il nome venga tolto da Conte (e Di Maio) prima di salire al Quirinale. In caso contrario, la decisione è tutta da prendere. Anche perché non è la prima volta che al Colle si paventa il peggio per poi andare nella direzione opposta. È successo alla vigilia dell’incarico a Conte. La sera prima gravi dubbi e timori sulla figura politica e la biografia del premier. Il giorno dopo tutto svanito, con la convocazione di Conte.

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