Gianni Minà, salviamo l’archivio del fuoriclasse umiliato dalla Rai

9 Ottobre 2017

C’è una foto, una delle più belle del Novecento, che racchiude un concentrato smisurato di talento. Epica pura. Da sinistra a destra: Gabriel Garcia Marquez, Sergio Leone, Muhammad Ali, Robert De Niro. L’ultimo a destra è Gianni Minà. Fu lui a farli incontrare. Roma, Trastevere, primi Anni Ottanta. Muhammad Ali era stato ospite di Minà. Andarono in un’osteria. Lì trovarono Leone e De Niro: stavano girando C’era una volta in America. C’era anche Garcia Marquez: evidentemente era una serata in cui la Leggenda si era data appuntamento in quella osteria lì. Minà, che di lavoro ha fatto e fa il testimone di leggende fino a esserne divenuto parte integrante, unì i commensali. Se glielo chiedi, ti dice che tutti quella sera ascoltarono rapiti Ali che raccontava la sua carriera. Le sue sfide. Le sue rivoluzioni.

Minà ha regalato alla tivù italiana, e non solo italiana, meraviglie. I duetti con Massimo Troisi, che lo prendeva in giro perché nella sua agenda si trovavano tutti i numeri di telefono possibili. Giorgio Gaber e Fabrizio De André, che andavano in tivù solo da lui.

https://www.youtube.com/watch?v=A6Vgyrfz5Cg&t=125s

Le interviste a De Niro, ad Ali, a Maradona. La straziante confessione di Marco Pantani nel 1999, dopo la maledetta Madonna di Campiglio. Oppure Gigi Proietti che, intervistato da Adriano Celentano (sì, Celentano), imitò Vittorio Gassman presente in studio accanto a Minà. Era la prima puntata di Blitz. Un programma pazzesco.

Giusto in questi giorni, da sabato scorso fino a stasera, Minà sta presentando alla Cineteca di Bologna alcuni documentari su Cuba e Fidel Castro in occasione dei 50 anni dalla morte di Che Guevara. Opere splendide. Eppure – o proprio per questo – la tivù italiana lo ha totalmente dimenticato.

Non gli spettatori: i dirigenti. Per lui, ormai da decenni, non c’è spazio. Troppo scomodo, troppo bravo. In Rai c’è spazio per chiunque, persino per il primo Costantone della Gherarduccia che passa, ma per Minà no.

Non solo: nei libri di testo sulla storia della tivù, quelli per esempio che si usano al Dams, Minà non viene menzionato. Come se la tivù non l’avesse mai fatta. C’è persino di peggio: lo smisurato repertorio di cui è protagonista rischia di andare perduto. La Rai non pare porsi il problema di archiviarlo.

Rispondendo a un mio post affettuoso a lui dedicato, Minà ha rivelato nella sua pagina: “Sono ormai più di 15 anni che mi batto per ‘resuscitare’ Blitz perché questo programma che era in diretta ogni domenica su Rai 2 per tre anni, non è presente nella Cineteca Rai. Sono riuscito finora a salvare solo 20 puntate, quelle che ho potuto ridurre, grazie a Rai 3, da 5 ore a una e che sono in Cineteca, ma il resto dei supporti – e della memoria quindi! – si sta ormai deteriorando senza pietà. Vorrei aggiungere che forse commenti generosi come i tuoi meriterebbero un pizzico di attenzione”.

C’è da chiedersi: che razza di paese stiamo diventando? Dove andiamo, senza memoria? Che futuro abbiamo, se la tivù “canonica” trasmette quasi solo brutture? Quanta tristezza.

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