Marco Travaglio

Direttore del
Fatto Quotidiano

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Nessuno tocchi babbino

29 Giugno 2017

In tutto il mondo i giornalisti cercano notizie sulle inchieste che riguardano personaggi pubblici e, se sono bravi e/o fortunati, le trovano. Gli atti di indagine infatti, anche quando sono segreti, passano per decine di mani (non solo dei pm, ma anche di agenti, cancellieri, segretarie…) e, per quante cautele si adottino, prima o poi trapelano. Nel qual caso i cronisti vengono applauditi e premiati. Era così anche in Italia. Poi è arrivato Renzi. Da quel giorno, gli scoop sono buoni, se riguardano indagini sui nemici di Renzi; e cattivi, se riguardano indagini sugli amici di Renzi. Ne consegue che le fughe di notizie sono benemerite nel primo caso e scandalose nel secondo. Infatti sulle prime si indaga senza esclusione di colpi, anche indagando magistrati e loro compagne; nel secondo si lascia correre, sbadigliando e fischiettando. Da quando è nato, il Fatto ha svelato un’infinità di indagini, perlopiù segrete: quella (poi archiviata) a Lagonegro su Gianni Letta, quella di Milano su B. e Ruby, quella di Trani sulle pressioni di B. per chiudere Annozero, quella di Siena sul derivato tossico di Mps, quella tra Milano e Siracusa sui dossier dell’Eni, quella di Roma sulle polizze di Romeo “intestate” alla Raggi, quella su Consip e così via. Ma solo il caso Consip ha destato scandalo: e non perché amici e parenti di Renzi sono indagati per aver tentato di truccare il più grande appalto d’Europa e rovinato le indagini con soffiate, ma perché il Fatto l’ha raccontato.

Anche gli errori o le forzature della polizia giudiziaria seguono un andamento intermittente: se riguardano gli amici di Renzi, sono dolosi a prescindere; se riguardano i nemici di Renzi o personaggi neutri (come Massimo Carminati o altri imputati di Mafia Capitale, che come tutti i maxi-processi contiene errori, poi scoperti dai pm, dai giudici o dai difensori), sono tutti in buona fede a prescindere e nessun carabiniere finisce indagato. Lo stesso doppio binario vale per la competenza, che Woodcock è da sempre accusato di violare: se il capitano Scafarto commise reati nell’informativa alla Procura di Napoli, è la Procura di Napoli che deve indagare; qui invece curiosamente indaga Roma. E vi raccomando la “rilevanza penale” che, per dirla con un francesismo, è come la pelle dei coglioni: più la tiri e più si allunga. La telefonata tra Renzi padre e Renzi figlio non viene né trascritta né contestata al babbo indagato, anche se penalmente rilevantissima (papà Tiziano non esclude di aver incontrato il suo aspirante corruttore Alfredo Romeo al bar). Invece vengono trascritte e depositate le intercettazioni penalmente irrilevanti di Raffaele Marra.

Tipo quelle in cui l’ex funzionario commenta con l’amica Concetta la sua intervista al Fatto del novembre 2016, depositate al processo su una corruzione di 5 anni fa. E la celebrata “circolare Pignatone”, che doveva salvarci dall’obbrobrio delle intercettazioni penalmente irrilevanti sui giornali? Desaparecida. Anzi, gli stessi giornali che tuonano contro le intercettazioni penalmente irrilevanti sbattute in prima pagina sbattono in prima pagina le intercettazioni penalmente irrilevanti di Marra che dà della psicolabile o della “senza palle” alla Raggi (e figurarsi che sarebbe accaduto se Marra avesse detto che la sindaca ha le palle: sarebbero usciti in edizione straordinaria).

Ora, noi sappiamo per certo che Woodcock non ci ha mai passato notizie, né segrete né pubbliche, né direttamente né tramite la sua compagna Federica, e speriamo che Lillo sia presto sentito dai pm per aiutarli a dissipare l’equivoco. Ma c’è chi potrebbe non crederci, dunque lasciamo che l’indagine faccia il suo corso (alla fine, se qualcuno se ne ricorderà, qualcun altro si vergognerà). Il fatto è che Woodcock era già colpevole prim’ancora di ricevere dai colleghi romani l’invito a comparire. Senza aver fatto assolutamente nulla di men che corretto, non appena Renzi e i suoi l’hanno attaccato pubblicamente sulle sue inchieste finite nel nulla (gli piacerebbe) e chiedendo al ministro Orlando di sguinzagliare gli ispettori come B., si è ritrovato sotto procedimento disciplinare a opera del Pg della Cassazione, il Csm ha aperto una pratica per trasferirlo da Napoli per “incompatibilità ambientale” (non si sa bene con chi o cosa) e ora è indagato a Roma con la sua compagna, che s’è vista pure sequestrare il cellulare (cosa mai avvenuta per l’indagato Tiziano Renzi: evidentemente è più grave una sospetta fuga di notizie che un sospetto traffico d’influenze). Intanto il suo capo Giovanni Colangelo è stato prepensionato dal governo. E i due testi-chiave dell’inchiesta? L’ad Consip, Marroni, è stato licenziato dal governo e l’ex sindaco di Rignano, Lorenzini, non è stato ricandidato dal Pd.

Sfido io che B. ammira Renzi: gli sarebbe piaciuto, ai suoi tempi, liberarsi con tanta facilità dei suoi processi. Solo che lui non poteva, perché pezzi di magistratura, stampa, intellighentjia e opinione pubblica tennero la schiena dritta e fecero muro. Oggi, con Renzi, sono tutti così teneri che si tagliano con un grissino. Basta vedere tg e giornali di ieri: linciaggio di Woodcock e Sciarelli a reti ed edicole unificate. In prima linea proprio gli sparafucile berlusconiani, da Sallusti a Ferrara, da F.F. al rag. Cerasa, con l’ormai abituale contributo di Repubblica. In attesa di scoprire chi e perché protegge Renzi con lo scudo spaziale dell’alta tensione (chi tocca i fili muore) anche nel momento più nero della sua parabola politica, il governo dirami subito direttive precise a tutte le Procure della Repubblica: una lista completa di amici e parenti di Renzi da non sfiorare nemmeno con un fiore. Così i pm camperanno tranquilli e potranno almeno processare tutti gli altri.

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