L’inchiesta

“Non fu epilessia: lo dice la posizione del corpo di Cucchi”

Carabinieri imputati - Agli atti le deposizioni di due neurologi: ”Sul fianco con una mano sotto la testa, incompatibile con una crisi”

Di Silvia D’Onghia e Valeria Pacelli
16 Febbraio 2017

Nel luglio del 2015, mentre sono in corso le intercettazioni di alcuni indagati del caso Cucchi bis, Roberto Mandolini, maresciallo capo, incontra un uomo che viene definito dalla Squadra Mobile con “pregiudizi sfavorevoli per furto e ricettazione”. Di che livello, dagli atti che Il Fatto ha letto, non è chiaro, ma l’uomo, tale G. G., quando incontra Mandolini sembra attento: preferisce che sia il maresciallo a raggiungerlo “poiché ha il timore che possa essere oggetto di un controllo da parte delle forze dell’ordine, quindi la compagnia di un carabiniere può scongiurare tale evenienza”. Sembra che i due si incontrino per un’opera d’arte.

C’è anche questa vicenda nelle 27 mila pagine depositate nell’indagine su Stefano Cucchi, il geometra morto nel 2009 dopo esser stato arrestato per detenzione di droga. Pochi giorni fa, il pm Giuseppe Musarò ha chiesto il rinvio a giudizio per tre carabinieri, all’epoca dei fatti in servizio presso la Stazione di Roma Appia, accusati di omicidio preterintenzionale, e per altri due accusati a vario titolo di calunnia e falso.

A Roberto Mandolini – oggi impegnato nelle zone terremotate – invece viene contestato il falso (in merito a quanto attestato nel verbale di arresto di Cucchi) e la calunnia. Con altri, avrebbe affermato “il falso davanti alla Corte d’Assise”, accusando “implicitamente” i tre agenti della polizia penitenziaria (processati e assolti), “sapendoli innocenti”. In un’informativa, la polizia annota due “interessanti conversazioni” del 2 luglio 2015 tra Mandolini e G.. Nella prima i due si mettono d’accordo per vedersi. È scritto negli atti: “G. lo esorta all’incontro in quanto la roba di cui è in possesso, tra cui alcuni oggetto in oro, che propone per la visione a Mandolini, la deve restituire”. Nella seconda conversazione “si comprende che entrambi sono vicino al luogo dell’appuntamento”, “ma Grillo esorta Mandolini a raggiungerlo” per il timore di un controllo delle forze dell’ordine. Mandolini – continua dopo la Squadra Mobile – “è anche interessato al commercio di opere d’arte”. Agli atti poi ci sono le conversazioni, alcune di “carattere personale confidenziale”, di luglio 2015 del maresciallo con una donna, alla quale avrebbe inviato “una fotografia di un’opera d’arte al fine di essere visionata”. L’opera “priva di cornice, (…) riprodurrebbe la figura di una Madonna con Bambino del ‘700”. Abbiamo chiesto spiegazioni al maresciallo che ci ha diffidato dal pubblicare questa notizia perché, dice, non avrebbe attinenza con il caso Cucchi. Mandolini ci ha anche spiegato che Grillo non ha precedenti penali gravi ma solo una denuncia per un telefonino acquistato al mercato di Porta Portese molti anni fa. Inoltre l’opera visionata non è stata acquistata.

Agli atti ci sono anche le perizie della Procura che proverebbero come Cucchi sia morto a seguito del pestaggio. Tra le tante cause di morte ipotizzate in questi anni, l’ultima in ordine di tempo è quella dovuta all’epilessia: Sudden Unexpected Death in Epilepsy (Sudep), si chiama in gergo medico, una morte improvvisa e inaspettata legata alla patologia di cui Stefano era affetto fin dall’età di 20 anni. Ora la Procura ha due nuovi medici su cui contare.

Il primo è Bruno Jandolo, dal 2001 al 2009 direttore del dipartimento di Neuroscienze dell’ospedale romano Regina Elena. Jandolo è il neurologo che ha avuto in cura, dal 2002 al 2007, proprio Cucchi. Sentito dalla Procura come persona informata sui fatti, ha raccontato agli inquirenti la storia clinica del ragazzo. Una storia che parla di una regressione della malattia: “L’ultima volta che vidi Stefano – ha detto – fu nel maggio del 2007, quando ridussi ulteriormente la posologia del Rivotril (farmaco antiepilettico, ndr). Per cui ritengo che non avesse più avuto problemi di epilessia”. C’è poi un particolare che fa ritenere allo specialista improbabile una “crisi tonico-clonica”: Cucchi fu ritrovato, al momento della morte, “steso sul fianco di destra con la mano sotto la testa”. “La crisi – racconta Jandolo – provoca uno ‘sconquasso’ che rende inverosimile che il soggetto possa restare in equilibrio su un fianco”. Ipotesi, questa, rafforzata dalla consulenza tecnica chiesta dalla Procura al primario neurologo dell’Ospedale Bambino Gesù, Federico Vigevano. “Nei casi attribuiti a Sudep – scrive il professore – i pazienti vengono ritrovati nella maggior parte dei casi in posizione prona. (…) In caso di una crisi (…) il paziente non viene certo ritrovato in una posizione così naturale”.

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