L’ultima sfida: superare Beppe (e Tafazzi)

24 Settembre 2017

Seguendo uno schema così collaudato da far quasi pensare che anche gli harakiri siano deliberati, ogni volta che il M5S sembra lanciatissimo fa una sciocchezza. O due, o duecento. Il meeting di Rimini doveva essere una festa, oltre che un’investitura: come minimo, si sta rivelando un’occasione persa. È lontano l’entusiasmo del primo V-day e il nervosismo è tanto.

Cosa sta accadendo ai 5 Stelle? Capirlo è facile e difficile al tempo stesso. Facile, perché alcune falle sono note; difficile, perché i parlamentari non si espongono. Chi parla a microfoni lontani, chi non parla per non fare danni. Esultare per “le alte cifre” delle “Primarie è surreale e permette perfino a uno come Renzi di (provare a) dar lezioni di democrazia.

Norberto Bobbio, che di democrazia si intendeva appena più di Sibilia o Nik Il Nero, vaticinava nel 1984: “L’ipotesi che la futura computer-crazia consenta l’esercizio della democrazia diretta è puerile”. E poi: “Nulla rischia di uccidere la democrazia più che l’eccesso di democrazia”. Alcune criticità, tutt’altro che ignote a gran parte dei diretti interessati, sono evidenti. Personalismi e antipatie (Di Maio sta sulle scatole a tanti).

La figura di Fico, attivista di spicco della primissima ora, con idee talora “di sinistra” (infatti Scotto l’ha già invitato dentro Mdp) e con un’idea di movimento che si rifà agli albori, quando in tivù non ci andavano quasi mai e il mantra “uno vale uno” poteva sembrare quasi vero. La sua contrarietà all’idea “verticistico-catodica” di Di Maio è totale. E Fico non è Orellana o la Fucksia: se salta lui, salta un pezzo di Movimento. Quel pezzo che vorrebbe un ormai impossibile “ritorno alle origini”. Un altro problema eterno è il ricambio generazionale al vertice. Gianroberto Casaleggio, che aveva un ruolo chiave e insostituibile, se n’è andato. E Beppe Grillo è stanco. Si definisce “anziano” e dice che resterà il “papà” di tutti per sempre, ma è il primo a sapere che la matassa sta diventando intricata. Troppo intricata, per uno che resta un (grande) artista e non certo un (discutibile) politico.

Ecco un paradosso che i 5 Stelle si portano dietro da tempo: sanno di dover imparare a vivere senza i padri fondatori, ma non sono ancora pronti. E non sarà Di Maio a renderli indipendenti. Nel frattempo, tra un Rosatellum 2 obbrobrioso e un’elezione in Sicilia che doveva coincidere con un trionfo quando invece il favorito sembra essere adesso Musumeci (auguri), il M5S rischia di diventare marginale. Di “#vincerepoi”, come nel 2014, o di fare il pieno senza però avere i numeri per governare. E magari, chissà, tutto questo alla Casaleggio Associati non dispiace. In Rete ogni critica al Movimento è vietata, scatenando puntualmente insulti e reazioni da bimbominkia: anche questo fa male al M5S, portandolo a commettere sempre gli stessi errori e a somigliare alla caposseliana accolita dei rancorosi. Non è un momento facile e dentro il Movimento, al di là delle dichiarazioni di facciata, lo sanno bene. Ci si potrebbe quindi chiedere perché il loro consenso non scenda. La risposta è facile: chi vota 5 Stelle, quasi sempre, sta dando l’ultima chance alla politica. Se deludono anche loro, l’unico sbocco dell’elettorato “grillino” sarà l’astensione: a votare Renzi o Salvini non ci pensano proprio.

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