Non c’è un giudice a Berlino

Rogo Thyssen, persa una carta in Germania: e i manager tedeschi condannati restano liberi

Per i tedeschi manca un documento per arrestare i due supermanager condannati per i 7 morti di Torino. Ma Via Arenula: “Spedito a giugno”. E c’è la prova della ricezione

28 Ottobre 2017

Manca solo un documento. Per questo la giustizia tedesca non ha ancora deciso se arrestare Harald Espenhahn e Gerald Priegnitz, ex componenti del Cda della ThyssenKrupp Acciai Speciali, condannati a nove anni e otto mesi il primo e sei anni e dieci mesi il secondo per l’omicidio colposo di sette operai morti dopo il rogo del 6 dicembre 2007 a Torino.

L’Italia ha inviato quel documento in Germania, ma è andato perso. Questo è quanto il Fatto Quotidiano ha appreso dalla Procura generale di Essen (Renania settentrionale-Vestfalia), città in cui ha sede il colosso dell’acciaio ha la sua sede. “Non si può ancora decidere se eseguire in Germania la sentenza italiana contro Espenhahn e Priegnitz – risponde Anette Milk, procuratore e portavoce –. La procedura è in corso. Stiamo ancora aspettando un documento che è stato chiesto alle autorità italiane”. E questo è il problema: “Ci hanno informato che ci hanno già mandato i documenti mesi fa, ma sfortunatamente non sono mai arrivati ai nostri uffici”.

La Procura generale di Essen spiega che stanno cercando di risolvere e hanno richiesto una copia dell’atto mancante. Poi, una volta ricevuto, sarà possibile decidere se e come arrestare i due manager. In base agli accordi bilaterali, Espenhahn e Priegnitz potranno scontare la condanna nel loro Paese per una durata massima di cinque anni, come previsto dal codice penale tedesco per l’omicidio colposo. Dal ministero della Giustizia italiano, invece, dicono di non aver ricevuto ulteriori richieste. L’ultima risale all’8 maggio, quasi un anno dopo la condanna definitiva datata 13 maggio 2016. La Germania chiedeva chiarimenti sulla presenza dei due imputati al processo: se condannati in contumacia, il loro arresto sarebbe stato più difficile. Il dato, in realtà, era riportato nella sentenza che li indica come “presenti”. Da via Arenula hanno inoltrato la richiesta alla Procura generale di Torino, dove il sostituto pg Vittorio Corsi, poco prima del suo pensionamento, ha firmato un ultimo atto, spiegando che i due presero regolarmente parte al processo di primo grado e furono sottoposti all’esame dibattimentale il 4 novembre 2009, mentre per i due processi di appello non si sono mai presentati e sono stati rappresentati da avvocati di fiducia. Ma insomma, per l’Italia non erano contumaci.

La risposta è stata mandata via mail a Essen il 1° giugno scorso, con tanto di foto dei due imputati in aula: c’è anche l’avviso di ricezione della mail dall’account dell’indirizzo di Essen, dove evidentemente l’hanno persa.

A differenza dei manager italiani che sono entrati in carcere il giorno dopo il verdetto della Cassazione, i due tedeschi sono liberi (e dal curriculum su Linkedin risulta che Gerald Priegnitz è tuttora Cfo, direttore finanziario, della ThyssenKrupp Global Shared Services).

Il 12 ottobre scorso a Lussemburgo è intervenuto direttamente anche il ministro Orlando che, durante il Consiglio dell’Unione europea dedicato alla giustizia, ha chiesto all’omologo tedesco Heiko Maas un suo interessamento per l’esecuzione della condanna: “Alla luce dell’eccellente cooperazione giudiziaria tra Italia e Germania il ministero federale di giustizia ha offerto il suo supporto per migliorare la comunicazione tra le autorità giudiziarie tra i due Stati se necessario”, ha risposto al Fatto un portavoce di Maas.

È possibile che le autorità tedesche aspettassero soltanto l’esito dell’ultimo ricorso straordinario in Cassazione: il 19 ottobre scorso i giudici l’hanno respinto perché le condanne inflitte erano “conformi a legge e adeguatamente giustificate”. Un’ulteriore conferma della loro colpevolezza che solo la Germania fatica a riconoscere.

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