Stallo nei ministeri

Sulla violenza di genere neppure la raccolta dei dati: dopo un anno il governo non ha ancora fatto il decreto attuativo

Tutto fermo - Malgrado gli annunci della premier il testo per raccogliere info sui reati è “vuota”

Di Martina Castigliani e Lorenzo Giarelli Icons/ascolta
21 Novembre 2023

LEGGI – Contrasto alla violenza sulle donne, il replay della destra che piange e non fa

Mentre la politica porta avanti il suo copione di indignazione, l’Italia non ha ancora numeri univoci e dettagliati sulle violenze di genere. Il motivo è semplice: al di là del lavoro meritorio di alcuni enti, manca il coordinamento centrale di questi dati. Una legge c’è, o meglio ci sarebbe, quella del 23 maggio 2022, ma al momento non è pienamente operativa perché orfana dei decreti attuativi, ovvero gli atti ministeriali che servono per “concretizzare” le norme.

La mancanza è un tema politico anche perché un anno fa Giorgia Meloni, appena nominata presidente del Consiglio, si era impegnata a portare proprio quella legge fuori dal guado: “Questo esecutivo rifinanzierà i centri antiviolenza – prometteva Meloni – e ci impegneremo per attuare la legge 53 del 2022 sulla raccolta dei dati statistici sulla violenza contro le donne, che ancora necessita dei decreti attuativi e di attività tecniche”. E invece, un anno più tardi, i ministeri interessati non hanno ancora elaborato quei decreti attuativi e quindi la legge è rimasta monca.

Si tratta di un testo nato su iniziativa della dem Valeria Valente e approvato dopo una lunga gestazione. La legge introduce, tra le altre cose, l’obbligo per tutte le strutture sanitarie pubbliche di fornire dati e notizie relativi alla violenza contro le donne, istituendo poi un sistema tra ministeri per rilevare e registrare i reati riconducibili proprio alla violenza di genere. La legge prevede pure il perfezionamento, in questo senso, delle indagini di Istat, considerando che finora l’Italia non ha dato seguito alle indicazioni del Grevio (un Gruppo di esperti sulle violenze di genere del Consiglio d’Europa) secondo cui il nostro Paese dovrebbe intensificare le ricerche in materia.

Nell’ultimo anno qualcosa si è iniziato a fare, ma finché non ci sono tutti i decreti attuativi la legge non può andare a pieno regime. E a essere coinvolti sono più ministeri: quello della Famiglia guidato da Eugenia Roccella, ma anche la Salute di Orazio Schillaci, la Giustizia di Carlo Nordio e il Viminale di Matteo Piantedosi. Fonti del dicastero della Famiglia raccontano che il dossier non è indietro per negligenza o disinteresse, ma perché completare questi atti, che il governo si è trovato sulla scrivania al momento del suo insediamento, è operazione delicata. Le stesse fonti assicurano anche che il lavoro non si è mai interrotto. Argomentazione che però non cambia la sostanza e che quindi rende ancora irrisolta la promessa di Meloni.

Non solo. La senatrice Valente, parlando col Fatto Quotidiano, sottolinea che “la legge è importante non soltanto per avere un monitoraggio completo sulle violenze, ma anche perché individua i cosiddetti reati spia”. Si tratta di alcuni reati non direttamente collegabili a una violenza contro la donna, ma che – se approfonditi – possono portare a scoprire situazioni di disagio o di pericolo (per fare un esempio: se un uomo danneggia l’auto della ex compagna è il segnale di una situazione che può degenerare). Non a caso il ritardo dei decreti attuativi preoccupa anche Francesca Maur, componente del Consiglio direttivo dell’associazione Dire (Donne in rete contro la violenza): “Noi portiamo avanti comunque, da anni, un registro delle segnalazioni. Ma è evidente che, senza i decreti attuativi, quella del maggio 2022 resta una legge vuota”.

Tra i tanti problemi c’è quello dei finanziamenti: “Centri come i nostri, soprattutto nelle grandi città, riescono a svolgere bene la propria attività, ma per assicurare una raccolta dati integrata, capillare e completa su tutto il Paese e con uno scambio di informazioni tra soggetti diversi è necessario anche che le varie strutture siano sostenute economicamente”. Il rischio infatti è che la raccolta dati funzioni in ordine sparso, magari con buoni risultati nelle grandi città, ma senza riuscire ad arrivare nei centri più piccoli o a penetrare nei contesti sociali più difficili. In questo caso il danno non sarebbe soltanto statistico: un quadro fuorviante può portare poi a valutazioni distorte della realtà, con conseguenti problemi per chi legifera. Ecco perché le buone intenzioni, per ora, sono soltanto teoria.

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