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La gioventù rubata di Napoli. Nell’ex fortino della camorra, nuova vita al campo da calcio

Un calcio a Gomorra - Progetto Secondigliano. Parco Laudati: lì Vincenzo giocava a pallone con tre amici, finiti in cella o morti. Ora è lui a salvare i ragazzi

22 Gennaio 2023
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“Noi ci fermavamo. Così. All’improvviso. Nel mezzo della partita, quando vedevamo il ‘palo’ arrivare e buttare a centrocampo il fumo, quello era il segnale. Bisognava stare immobili. Il pallone rotolava magari un po’, ma poi si fermava anche lui. Se loro sapevano che gli avevi spostato la roba o avevi parlato, passavi un guaio. Se la polizia ti beccava che ce l’avevi in mano, pure, quindi…”. Vincenzo, quando mi porta sul campetto dove è cresciuto, nel parco Emilia Laudati di Secondigliano – 28mila metri quadrati di verde recintati e inutilizzati nella periferia della periferia di Napoli – torna bambino. Lo abbiamo conosciuto due anni fa, per un reportage di FqMillenniuM sulla sua associazione Larsec, l’unica su tutto il territorio. Oggi ha 36 anni e sta per diventare padre, di un maschietto. Ha smesso di giocare da un pezzo. Ma, come fosse ieri, lo vedi scorrazzare assieme a Salvatore, Angelo detto Angiolillo e Mimmo, su quello spiazzo di cementine color mattone. “Papà un giorno mi disse: ‘Ora vai al liceo, hai fatto la tua scelta, basta stare in mezzo alla strada’”. Di quei compagnelli che si salutavano la sera al grido “Oh, domani partitella!”, c’è chi è stato ucciso, chi sta al 41-bis, chi – “il più scemo”, secondo le gerarchie dei clan – si è fatto 7-8 anni in carcere e ogni tanto si rivede in giro.

Il parco Emilia Laudati da un lato è cinto dallo stadio Barassi, “un presidio di sport e socialità”, si disse inaugurandolo: oggi è un impianto non sfruttato perché, finiti i soldi pubblici, è rimasto senza fari né illuminazione. Dall’altro, guarda il rione dei Fiori che tutti qui, però, chiamano “Terzo mondo”. Come molte periferie di Napoli, nato col fiume di denaro che arrivò dopo il terremoto del 1980 e che permise alla camorra di fare il “salto di qualità”, di farsi per la prima volta impresa, con la nascita della Nco di Raffaele Cutolo. A Secondigliano si è dovuto aspettare il finire degli anni ’80 e la prima metà dei ’90 per vedere aprire e far andare a regime “la fabbrica”, come la chiamano ancora da queste parti. “La nostra Fiat”. Ovvero, la piazza di spaccio a cielo aperto più grande d’Europa, la trasformazione del mercato della droga in industria (con 3 milioni di euro di incassi al mese) messa a punto dal boss Paolo Di Lauro, detto Ciruzzo ‘o milionario per le banconote che perdeva dalle tasche, e che ispirò Roberto Saviano per il suo Don Pietro Savastano.

Su uno dei muretti che circondano il campetto c’è ancora scritto “Terzo mondo”. Pochi metri più in là, le due torri di sei piani, l’ingresso di quella vecchia fortezza di cemento grigio e giallo. Negli anni ‘90 e fino al 2005, fino all’arresto del primogenito di Paolo, Cosimo Di Lauro – uscì dal suo bunker con un giubbino di pelle nero e una pettinatura stile Il Corvo, è poi morto l’anno scorso nel carcere di Opera a 48 anni – “tutti quelli che abitavano qui lavoravano, in un modo o in un altro, alla ‘fabbrica’”, racconta Gennaro, 65 anni, presidente del Comitato rione dei Fiori. Tutto era funzionale al business, c’era chi era addetto allo stoccaggio, chi allo spaccio, chi a fare la vedetta. “E se non volevi passare guai rientravi a casa occhi a terra, raso raso o’ mur’”. Ancora ricorda tutte le auto incolonnate in fila che, come in un drive-in, entravano dalle due torrette, ordinavano senza nemmeno scendere e uscivano con la “spesa” fatta: in via Miracolo a Milano se volevi cocaina e crack, in via Praga magica per marijuana e hashish. Mentre Vincenzo e i suoi compagni continuavano a giocare, come niente fosse.

Quando stiamo per salire da Gennaro, vediamo parcheggiare il più piccolo dei dieci figli di Paolo Di Lauro, Giuseppe, l’unico incensurato, identificato nei libri mastro sequestrati al clan con la sigla “F10” (F, per ogni numero di figlio). Non è rimasto più niente, apparentemente, della stagione che ricorda Gennaro. E nemmeno di quella, più recente, che ricorda Vincenzo. La faida di Scampia, le paranze, Gelsomina Verde. Solo nel 2004, 134 omicidi di camorra.

Sembra essersi fermato tutto. E si vive sospesi, in un non-luogo, senza tempo. Tutto bloccato all’arresto dell’ultimo Di Lauro, il 39enne Marco (F4), al tempo terzo super ricercato d’Italia: venne preso nel 2019, dopo 14 anni di latitanza. Il rione scoppiò in un applauso, ma questa volta per le forze dell’ordine. Non come per l’arresto del padre, Ciruzzo ‘o milionario, o, peggio, per quello di Cosimo, quando i citofoni suonavano per chiamare alla rivolta contro la polizia. “Il problema è che siamo stati abbandonati. Abbandonati eravamo prima, abbandonati lo siamo ora”, spiega Gennaro che per quante telefonate riceve al minuto sembra il sindaco del rione: “Mi chiamano per i documenti per il reddito di cittadinanza, per le infiltrazioni d’acqua, per parlare con la Municipalità… io ho la terza elementare, ma ne abbiamo fatte di battaglie per questo quartiere io e Nanà (Anna Brandi, storica leader comunista nata a Secondigliano che dedicò la sua vita alle lotte per la casa, ndr)!”. Gennaro è riuscito a far stare fuori dal malaffare i suoi 5 figli: “Alla fine ho vinto io”, dice ricordando i successi di uno dei suoi figli, ex atleta olimpico. “E adesso che ho ripreso a riaffacciarmi alla finestra perché non ho più paura di un colpo vagante, voglio aiutare questi ragazzi. Dobbiamo iniziare a seminare in questo deserto. Si parla tanto di formare i giovani per non farli stare sul divano, ma lo sanno che a malapena abbiamo le scuole qui?”.

A Nord di Napoli, nell’intera VII Municipalità che raccoglie le periferie di Secondigliano, Miano e San Pietro a Patierno – un territorio dove abitano 92mila persone, quanto in città come Piacenza o Lecce – per proseguire gli studi ci sono solo due istituti, entrambi tecnici. Un ragazzo su due, qui, abbandona la scuola. “Togliere i bambini dalla strada è il nostro obiettivo”, spiega Vincenzo. “Abbiamo deciso di aprire una scuola calcio per tutti, 10 euro di retta l’anno, per ridare una squadra a Secondigliano e, soprattutto, per sottoscrivere un ‘patto di cittadinanza’ con le famiglie. Vuoi che tuoi figlio giochi? Mandalo a scuola. Se studia, partecipa. Se fa filone o va male, niente allenamento. E noi lo aiutiamo nei compiti o con le ripetizioni”. È così che, da settembre, si sono iscritti 60 ragazzi, dai 7 ai 18 anni. “Viene chi non ha la possibilità di spendere 700 euro all’anno per una scuola calcio. E vengono pure le mogli dei boss, si avvicinano e ci dicono: ‘Meglio che mio figlio sta qua che per strada’”. La domanda che continua a fare da molla a Vincenzo è: “Perché noi dobbiamo pagare per loro? Sono passati vent’anni dall’ultima faida. Per strada vedevo cinquanta motorini venirmi incontro coi mitra spianati… C’erano gli amici con cui sono cresciuto, in mezzo a loro. C’erano i morti per terra. Non voglio che questi bambini – e indica i ragazzetti indemoniati pronti per l’allenamento attorno a lui, a Luca, il vicepresidente dell’associazione, e a Dario, il capitano – abbiano la stessa paura che ho avuto io”.

“Ti senti come un vaso di coccio in mezzo a tanti vasi di ferro”, dice Vincenzo. Per rendersene conto basta guardare gli ultimi dati del Comando provinciale dei carabinieri di Napoli: ogni 36 ore un minore denunciato o arrestato; tre armi al giorno sequestrate, tra coltelli, bombe, kalashnikov, pistole. Spesso, nuove giovani leve di camorra, per ragioni di appartenenza familiare o per la provenienza da quartieri ad alta densità mafiosa: più in generale, perché abitano in zone periferiche e degradate. In Campania il 34% dei minori vive in condizioni di povertà relativa; 7 bambini su 10 non sono mai andati a teatro o a una mostra; 7 su 10 non hanno mai fatto sport. “È una foresta che ci cresce intorno, ma le istituzioni sono sorde e cieche”, ammette Don Luigi Arena, parroco della chiesa Sacri Cuori. È lui che ha dato uno spazio a Vincenzo per iniziare: “Nemmeno noi abbiamo un vero campo, abbiamo un parcheggio, ma meglio di niente è”. Don Luigi è un personaggio. Casertano di origine, è tornato a Secondigliano nel 2018, ottavo di 15 figli di un proletario comunista amico di Mario Capanna che non voleva che lui seguisse la vocazione. “Papà, finito il Pci, smise di fare politica, io continuo invece tutti i giorni… Faccio spazio ai poveri e non mi faccio spazio coi poveri. Ha presente Cuore? Dovremmo rileggerlo tutti, politici compresi”.

C’è un’enorme statua di Gesù all’ingresso del Parco Laudati, piuttosto malconcia. Il custode, un cultore raccontano, ha disseminato le cancellate di immaginette della Via Crucis. Alla statua manca una mano, rotta, così come è rotto il cuore. Dicono per colpa di un vecchio pallone.

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(Foto di Paolo Manzo)
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