L’intervista

Crac Parmalat, il podcast di Pablo Trincia: “Vent’anni dopo: le vite devastate dal buco”

Il giornalista - Il direttore creativo di Chora Media: “Tanzi perse il controllo del suo gioco. Eppure a Parma fatichi a sentirne parlar male...”

13 Dicembre 2022

Vent’anni fa, o giù di lì. È il 27 dicembre 2003, una piovosa serata milanese, quando in via Passione (nei particolari c’è sempre Dio) la Guardia di finanza arresta Calisto Tanzi, da pochi giorni indagato per la bancarotta che ha travolto il suo impero e stravolto la vita di 130 mila piccoli investitori. Comincia così Crac!, il podcast scritto e narrato da Pablo Trincia, che in sei puntate ripercorre la storia del caso Parmalat e che da ieri si può ascoltare su Audible. Non ci sono né i Tanzi, né i Barilli (Domenico, braccio destro di Calisto), né i Tonna (Fausto, ex direttore finanziario di Parmalat), non c’è quasi nessuno che sia stato qualcuno: a raccontare l’ascesa e la caduta del ragazzo d’oro di Collecchio sono impiegati, risparmiatori, finanzieri, revisori dei conti, autisti e guardie del corpo. Con l’autore – giornalista, direttore creativo di Chora Media e la voce più amata dal pubblico dei podcast da Veleno in poi – proviamo a capire che cosa resta di quel sogno di provincia che era entrato nelle case degli italiani col “latte da campioni”, la panna chef e la coppa Malù, e che si è scoperto poi un incubo nazionale.

Perché hai scelto il caso Parmalat?

Mi interessava avvicinarmi a una cosa nuova: non mi ero mai occupato né di economia né di inchieste per bancarotta. Il crac Parmalat era una sfida affascinante, anche per l’impatto dirompente che ha avuto sulla vita di così tante persone: sapevo che avrei scoperto un mondo che non conoscevo e imparato delle cose.

Cosa ti ha stupito di più?

Non avevo realizzato, allora, quanto tempo fosse passato dal momento in cui era iniziata la truffa a quando era scoppiata la bolla: la stessa cosa, più in piccolo, che è successa con Bernie Madoff. Il meccanismo che porterà al grande crollo del 2003 – intendo le operazioni finanziarie, i debiti, i bond – s’innesca negli anni 90, quelli d’oro per i Tanzi, basta pensare ai successi della squadra di calcio. Per quasi tre lustri nessuno si è accorto che l’impero Parmalat danzava sull’abisso, che stava in piedi sul nulla. O forse più di uno sapeva e si è girato dall’altra parte, finché questo castello di bugie s’ingigantisce e scoppia in mano non solo ai responsabili, ma soprattutto a chi aveva affidato loro risparmi, fiducia e speranze.

Calisto Tanzi, che è mancato il primo gennaio di quest’anno, è stato condannato, anche se praticamente non è stato in prigione.

Un anno di carcere, poi l’hanno mandato ai domiciliari. Fausto Tonna, l’uomo che salendo le scale della Procura di Parma, disse ai giornalisti: ‘Auguro a voi, e alle vostre famiglie, una morte lenta e dolorosa’, è andato in carcere 17 anni dopo i fatti, nel 2021. Le banche ci hanno guadagnato. Chi ha pagato davvero? Solo i poveri cristi, quelli che anche qualche giorno prima del crac, hanno investito i loro risparmi in una scatola vuota che li ha risucchiati.

Ce ne fai conoscere alcuni. Che cosa lasciano le loro testimonianze?

Questa vicenda per alcuni dei truffati è diventata un’ossessione: non si capacitano di non essere riusciti a recuperare nulla, si sentono raggirati e umiliati. Le cifre a volte sono poca cosa, 20-30 mila euro, ma per qualcuno quel poco era tutto. Ho incontrato un operaio che per 16 anni non è andato in vacanza per costruirsi una casa, ha investito tutto in Parmalat e si è ritrovato senza nulla. E poi la storia pazzesca di Filippo, un barista di Roma che aveva fatto il minatore in Belgio nel Dopoguerra, si era ammalato di silicosi a causa degli anni passati in miniera. Nel dicembre 2001 viene convinto da un bancario a investire 62 mila euro, l’equivalente di cinquant’anni di lavoro, nei bond Parmalat. Dentro quei bond c’è un meccanismo che batte il tempo: mancano due anni a quello che per Filippo e la sua famiglia sarà un disastro inimmaginabile.

Tanzi viene spesso definito imprenditore visionario. Anche mitomane?

Direi megalomane, uno con sogni di grandezza sconfinati. Sapeva perfettamente quello che stava facendo. Non riesco a vederlo come uno squalo, ma come uno che ha perso il controllo e si è ritrovato a giocare un gioco che non poteva smettere, sperando nell’affare giusto che avrebbe rimesso a posto le cose. È un uomo che è stato anche usato dalla politica, che gli chiedeva favori, e dalle banche, che per fargli credito gli facevano comprare aziende. A Parma non ho trovato nessuno che me ne abbia parlato davvero male.

Questo è stupefacente.

Un po’ sì: addirittura il suo compagno di cella ci racconta, indignato, che Tanzi veniva trattato come un detenuto qualunque! C’è una testimonianza che illumina bene la difficoltà di percepire Tanzi come un vero cattivo: la benzinaia di Collecchio racconta di aver capito chi erano i Tanzi dopo aver visto la mostra con la loro collezione d’arte, messa insieme alla bell’e meglio da gente che aveva fatto troppi soldi senza capire. E questo, racconta, le ha fatto fare la pace coi sentimenti contrastanti che provava per quell’uomo che era stato l’orgoglio di un paese sconosciuto prima di lui, e lo aveva poi trascinato così in basso.

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