COP 27 affluenza record

Chi ha vinto e chi ha perso alla COP27. E perché

contatto e collaborazione - I paesi “sviluppati” hanno riconosciuto le proprie colpe davanti alla presenza attiva dei paesi a basso e medio reddito di varie parti del mondo. Ci si augura che queste occasioni di contatto si allarghino, soprattutto grazie ai giovani, molto presenti alla conferenza. L'auspicio è che, grazie alla capacità che la pressione pubblica esercita sull'equilibrio politico nazionale e internazionale, si possano raggiungere risultati positivi.

Di Isde Italia*
5 Dicembre 2022

In questi giorni sono stati pubblicati diversi commenti sui risultati della Cop27. In tutti prevale il senso di impotenza per aver mancato l’obbiettivo di soluzioni che devono essere prese, ma che crisi e conflitti rendono sempre più irraggiungibili. Più che una maratona, come alcuni hanno suggerito, sembra quasi una corsa di cani levrieri che non riescono mai a raggiungere la preda. Sicuramente sfibrante, ma anche e soprattutto demoralizzante. Difficile dire quindi dire chi ha vinto e chi ha perso. Verrebbe da dire che tutto il genere umano ha perso, ma non ci aiuterebbe a trovare le soluzioni che devono essere trovate.

I primi dati sull’affluenza pubblicati da Carbon Briefi indicano che più di 33.000 delegati (Lancet parla di 45.000 delegati di cui 636 lobbisti di industrie petrolifere e del gasii) si sono registrati per la COP27, ponendola al secondo posto delle conferenze più numerose nella storia delle COP. Il secondo dato che emerge da questa analisi è la presenza record di partecipanti provenienti da Stati africani (non a caso è stata soprannominata “la COP dell’Africa”), ma anche dai paesi a basso e medio reddito delle altri parti del mondo (Sud-America e Asia). Anche il numero di osservatori delle ONG è risultato il secondo più alto nella storia della COP. Questi numeri riflettono la necessità di fare sentire la propria voce per porre fine a ingiustizie razziali ed economiche che hanno origini lontane.

E sono stati questi numeri che hanno dato un impulso al risultato che unanimemente viene riconosciuto positivo di questa COP: il Loss and Damage. Ma non sono stati solo i numeri. Non si può non ricordare la presenza estremamente attiva di quei Paesi. I padiglioni africani erano sempre pieni di persone richiamate da testimoni di esperienze concrete di disastri e sofferenze, ma anche di progetti di riscatto.

Il riconoscimento che si è trattato di un risultato storico deriva dal fatto che esso rappresenta “una prima vera ammissione di colpa da parte dei Paesi industrializzati”. Parliamo di una questione sollevata da ben trent’anni, quando nel 1991 la Repubblica di Vanuatu propose un sistema internazionale di compensazione dei piccoli stati-isola a rischio di essere sommersi dall’innalzamento del mare, finanziato da parte dei Paesi responsabili delle emissioni di gas serra. Molti dettagli non sono ancora definiti e un comitato di rappresentanti di 24 paesi lavorerà nel corso del prossimo anno per stabilire la forma che deve assumere il fondo, quali paesi dovrebbero contribuire e a quali dovrebbero andare i soldi, come coinvolgere le Banche di Sviluppo Multilaterali (MDBs), Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale o banche regionali come Asian Development Bank e African Development Bank, che ancora oggi non rilasciano crediti agevolati per progetti legati ai cambiamenti climatici.

Un’altra presenza molto importante, peraltro difficile da quantificare, è stata quella dei giovani. Certamente però erano molto visibili. Ed è questo uno dei messaggi più forti e importanti che emerge da questa COP27. Colpiva il loro impegno, la determinazione la precisione, e la disponibilità a collaborare. Per tutti, e soprattutto per i giovani, questa è stata un’occasione per creare opportunità di collaborazione con altre persone che provenivano da tutto il mondo con esperienze diverse e con tanto entusiasmo o se si vuole, disperazione.

In definitiva la COP27 ci racconta due cose (vincenti): 1) Una presenza attiva e convinta come quella dei paesi a basso e medio reddito ha indotto i paesi sedicenti “sviluppati” a riconoscere le proprie colpe e i diritti di altri ad intraprendere un una via di sviluppo che “deve” essere più lungimirante di quella sin qui adottata nella culla della civiltà moderna. 2) Le occasioni di contatto e di collaborazione che si sono realizzate in occasione di questa Cop27 non rimarranno solo un scambio di idee, ma si allargheranno a dismisura nei diversi paesi di origine, soprattutto grazie ai giovani, saranno capaci di sollecitare le coscienze delle persone e “pressare” le istituzioni.

La COP27 quindi potrà essere considerata “non inutile” se nei prossimi mesi: 1) saremo capaci di sottolineare gli aspetti negativi indicando chiaramente le responsabilità, ad esempio, nei corridoi si ricordava il ruolo negativo esercitato da Russia, Arabia Saudita e Iran, per il raggiungimento di una soluzione che garantisse l’obiettivo dei 1,5°. In altre parole si trattava di alcuni dei principali produttori di combustibili fossili, retti da governi non democratici. 2) Si favorirà l’aggregazione e la consapevolezza della capacità che la pressione pubblica può avere sull’equilibrio politico nazionale ed internazionale. In poche parole lo strumento più efficace per “mobilizzare” la gente è la gente. E sarà la gente che potrà spezzare quegli equilibri che hanno impedito i risultati positivi che tutto il mondo pensante si aspettava. Ed è questo, quello che dobbiamo fare in “scienza e coscienza”.

* Paolo Lauriola, medico, membro ISDE Italia e delegato ISDE International alla COP 27; Marco Talluri, giornalista, direttore ambientenonsolo.com e ufficio comunicazione ISDE Italia; Francesco Romizi, giornalista e responsabile comunicazione ISDE Italia

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