Pnrr, la vigilia

Mare sporco, pesticidi oltre ai limiti: la via italiana alla transizione ecologica

Il rapporto Ispra - L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale disegna un ritratto in chiaroscuro: crescono boschi, foreste e aree protette. Ma il consumo di suolo non si ferma, le coste sono sotto pressione e le città diventano isole di calore urbano

Di Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale)
23 Dicembre 2021

Dove la transizione ecologica è già cominciata e in quali settori ambientali siamo ancora indietro? Alla vigilia della realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) Ispra ha fatto il punto in un nuovo documento scritto e pensato per non esperti dal titolo “TEA, Transizione ecologica aperta”. Un quadro tra passato e futuro, realizzato dall’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, per capire in quali ambiti il nostro Paese è già avviato verso una transizione green e dove le sfide sono ancora aperte.

Sicuramente l’Italia è oggi un Paese molto ricco di foreste e aree protette. La percentuale di territorio coperto da boschi è pari al 37% della superficie nazionale, un valore superiore a quello di due Paesi europei tradizionalmente forestali come Germania e Svizzera, entrambi al 31%. Dal secondo dopoguerra ad oggi le foreste italiane sono aumentate costantemente, passando 5,6 a 11,1 milioni di ettari. La crescita, avvenuta a spese delle superfici agricole e di terreni naturali e semi-naturali, ha subìto un’accelerazione negli anni più recenti: dal 1985 al 2015 le foreste hanno avuto un incremento pari al 28%. Occorre attenzione, però, alla conservazione di alcune tipologie, come i boschi umidi e quelli lungo le rive dei fiumi, le foreste vetuste e quelle di pianura. Queste ultime sono sempre più compromesse, minacciate dagli incendi, dall’edilizia e dalle infrastrutture.

Grandi passi avanti anche nelle aree protette. Dagli anni Settanta ad oggi quelle terrestri e marine sono molto aumentate per numero ed estensione. La superficie protetta a terra tocca il 20% di quella nazionale. Quella marina copre oltre il 19% delle aree di mare a giurisdizione italiana; cifra che comprende, oltre a quelle protette, le aree sottoposte a speciali misure di conservazione. Manca ancora un 10% per raggiugere il target europeo fissato al 2030 (30%), ma sono già previste 23 nuove aree marine protette.

Transizione avviata anche per l’inquinamento atmosferico. Sono in costante diminuzione tutte le principali fonti di inquinamento dell’aria (monossido di carbonio, ossidi di azoto, anidride solforosa, composti organici volatili, polveri sottili), anche se restano molti problemi in alcune aree metropolitane. Criticità persistono nella pianura Padana, dove l’orografia e le condizioni meteo non favoriscono la dispersione degli inquinanti. Le normative sempre più stringenti e innovazioni tecnologiche applicate alla qualità dell’aria hanno portato ad un miglioramento della situazione, così come i controlli quotidiani effettuati dal Sistema nazionale per la protezione ambientale (di cui fanno parte Ispra e le Agenzie regionali per l’ambiente). Ulteriori passi avanti arriveranno quando ci saranno gli effetti delle nuove politiche per la transizione energetica e quella dei trasporti. Preoccupa, invece, la presenza dell’ozono a bassa quota durante l’estate, i cui valori non sembrano per ora destinati a scendere.

Avanza la transizione energetica: in 15 anni diminuito del 18% il fabbisogno di energia rispetto al picco del 2005 e più che raddoppiati i consumi da fonti rinnovabili (19%), ma se l’industria è avanti, c’è ancora tanto da fare per trasporti e usi residenziali. Passi avanti anche per l’economica circolare: l’economia usa sempre meno risorse naturali, la raccolta differenziata continua ad aumentare e si riduce sempre più il conferimento in discarica.

In linea generale sono le città, le pianure e le coste italiane ad essere sotto pressione, mentre montagne, foreste e aree protette appaiono in netto miglioramento. L’Italia è un paese fortemente urbanizzato, più di un terzo della popolazione si concentra nelle sue 14 città metropolitane. Sempre più allarmante è il fenomeno dell’isola di calore urbano: cementificazione, scarsità di aree verdi, utilizzo dei sistemi di riscaldamento e raffrescamento degli edifici sono tra i principali responsabili dell’aumento delle temperature dei centri cittadini fino a 4-5°C in più rispetto alle aree periferiche. In generale quanto più grandi e compatte sono le città, tanto maggiore è l’intensità del fenomeno isola di calore.

Oltre all’aumento della temperatura sono i cambiamenti climatici a mostrare impatti significativi sul nostro Paese. A partire dal 1985, le anomalie annuali di temperatura media, rispetto al trentennio climatologico 1961-1990, sono state sempre positive, ad eccezione del 1991 e del 1996, e il 2020 ha chiuso il decennio più caldo di sempre, con anomalie medie annuali comprese tra +0,9 e +1,71°C. Anche la temperatura superficiale dei mari italiani negli ultimi 22 anni è stata sempre superiore alla media. L’analisi della precipitazione cumulata annuale non mostra invece variazioni significative. Essenziale che gli sforzi sul clima siano globali. L’Italia si trova al centro del bacino del Mediterraneo, dove l’impatto dei cambiamenti climatici sarà presumibilmente più intenso e potenzialmente disastroso a causa dell’elevata vulnerabilità dell’area.

Transizione all’anno zero per il consumo di suolo. Nonostante una leggera flessione a partire dal 2012, il consumo di suolo erode 60 chilometri quadri l’anno. Anche il dato accumulato è preoccupante: il 7,11 della superficie nazionale, contro il 4,2% della media nel Vecchio continente. L’obiettivo europeo di azzeramento entro il 2050 appare difficile, anche perché le altre transizioni richiederanno nuove infrastrutture: dai nuovi campi fotovoltaici per la transizione energetica ai nuovi impianti per il recupero e il riciclo dei materiali per la transizione all’economia circolare.

Sui suoli agricoli pende la minaccia dei pesticidi. Proteggono le colture agricole da parassiti e da malattie causate da patogeni, ma possono comportare effetti negativi per tutte le forme di vita. In Italia se ne usano 114.000 tonnellate l’anno, che rappresentano circa 400 sostanze diverse. Pochi residui per fortuna nei cibi, ma un problema importante è il loro ritrovamento nelle acque superficiali e sotterranee: nel 2019 le concentrazioni misurate hanno superato i limiti previsti dalle normative nel 25% dei siti di monitoraggio per le acque superficiali e nel 5% di quelli per le acque sotterranee. La contaminazione rilevata è ancora sottostimata, a causa delle difficoltà tecniche e metodologiche. Obiettivo europeo è ridurre l’uso del 50% entro il 2030.

Dove l’Italia deve potenziare controlli e valutazioni è la risorsa acqua. I corpi idrici fluviali in Italia sono circa 7.500, ma solo nel 10% di essi si misura la quantità di acqua circolante (portate) e in rare occasioni si misura la quantità di sedimenti. In buono stato ecologico il 43% dei fiumi. Quanto ai 347 laghi italiani, solo il 20% raggiunge l’obiettivo del buono stato ecologico. Fondamentale potenziare l’attività di monitoraggio e di valutazione del loro stato, così come delle pressioni su di essi agenti, per poter poi predisporre adeguate ed efficaci misure di tutela e miglioramento.

Fra le grandi matrici ambientali, il mare è quello nelle condizioni più difficili. Non mancano l’attenzione o le leggi, ma è oggettivamente più complesso e costoso da monitorare e controllare. Urgente affrontare la questione della pesca: circa il 90% delle popolazioni di pesci sono sovrasfruttate, con un’intensità che è tra le due e le tre volte quella sostenibile. Critica la situazione dei rifiuti sulle spiagge e della plastica in mare: in Italia ne abbiamo in media più di 300 ogni 100 metri (per UE non devono essere più di 20). Ispra è impegnata nella applicazione della Strategia marina UE in Italia.

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