Cov-555

Il monoclonale prodotto in Italia si poteva usare (ed era pure gratis). Avrebbe fatto risparmiare almeno 950 ricoveri

La legge consentiva l’acquisto anche senza il visto Ema. Si sarebbero evitati quasi mille ricoveri: una goccia nel mare, ma meglio di nulla visto che era a costo zero. Se l'Italia avesse accettato sarebbe stato capofila in Europa dell'unica cura autorizzata al mondo

20 Dicembre 2020

Il monoclonale della Eli Lilly offerto gratis all’Italia? Poteva evitare almeno 950 ricoveri. Una goccia nel mare degli ospedalizzati, ma comunque una speranza di fronte alla mancanza di una cura specifica contro il Covid, sia per le casse dello Stato, visti i costi di un ricovero. Già da novembre avremmo potuto somministrare 10 mila dosi del Cov-555, prodotto in Italia, e diventare il primo Paese Ue a sperimentare l’unica cura autorizzata contro il virus. Il tutto a costo zero.

L’offerta, però, è stata fatta cadere nel vuoto e i furgoni dalla BSP Pharmaceuticals di Latina partono verso Stati Uniti e Canada. Lo scoop del Fatto sul trial mancato non ha una risposta. Il viceministro Sileri l’attende da 74 giorni. Parla al Corriere il dg Aifa Nicola Magrini. “I monoclonali sono seguiti con grande attenzione da parte di Aifa, Ema e comunità di ricerca. Non è vero che non abbiamo accettato usi compassionevoli.” E i 10 mila flaconi offerti gratis per lo studio clinico? “I dati che hanno consentito l’uso in emergenza negli Usa non sono forse sufficienti per un’approvazione europea da parte di Ema”. Ma poteva l’Aifa autorizzarlo senza aspettare l’Ema? Sì. In passato sono stati autorizzati farmaci in base alla legge 648, art.1 comma 4, che lo permette per “medicinali autorizzati all’estero ma non sul territorio nazionale”. Inoltre, una direttiva europea sui medicinali (2001/83 EC) consente ai singoli Paesi Ue l’acquisto in emergenza dove non ci sia ancora l’approvazione Ema. Magrini ne ricorda i limiti d’utilizzo: “Vanno usati precocemente con infusione endovenosa a domicilio”. In realtà, negli Usa sono somministrati negli infusion centres ospedalieri. Il 4 dicembre, come si legge nel sito della multinazionale, la Eli Lilly ha siglato un accordo per le flebo a domicilio per limitare saturazione degli ospedali e rischi di contagio. Il dg Aifa ammette ora: “Sarebbe utile fare uno studio clinico comparativo”. Ottima idea, ma allora perché quasi due mesi fa ha rifiutato lo studio clinico che avrebbe consentito di trattare gratis 10mila pazienti?

Il professor Giuseppe Ippolito, membro del Cts e direttore dello Spallanzani di Roma, era presente in qualità di “osservatore” del Cts alla riunione del 29 ottobre. La sua contrarietà, stando a chi c’era, fu determinante. Ippolito nega sia dipeso dalla sua contestuale partecipazione a un analogo progetto di ricerca finanziato dal governo: solleva piuttosto obiezioni sull’efficacia e cita un trial del 28 ottobre (Blaze-1) che dimostrerebbe risultati modesti nel ridurre la carica virale con sintomi lievi o medi e un calo relativo del rischio di ricovero, dal 5.8% a 1.6%. Percentuali che dicono poco, ma rapportate a 10 mila pazienti con Covid iniziale ad alto rischio significa passare da 1.350 a 400 ospedalizzazioni: 950 ricoveri in meno, con una cura a costo zero. Ricorda che il 26 ottobre l’organismo di valutazione indipendente DSMB aveva interrotto il trattamento nei pazienti ospedalizzati per “assenza di benefici clinici”. “Tre giorni dopo – scrive il professore – la società farmaceutica proponeva di testare il farmaco in Italia. Quando si dice la coincidenza”, ventilando il grave sospetto che la sperimentazione venisse propinata agli italiani come cavie di serie B. Ma la proposta è del 7 ottobre, 19 giorni prima del “blocco” superato con l’autorizzazione Fda del 9 novembre.

Guido Silvestri, il virologo alla Emory University che da Atlanta si era speso per la donazione non ci sta. “Non è stata la Lilly a farsi avanti. Li ho dovuti trascinare io, quasi pregandoli in ginocchio e sfruttando l’amicizia personale con il loro ceo”, risponde. Anche l’azienda conferma l’invito alla riunione del 29 ottobre, non di averla organizzata. Gianluca Rocco, giornalista del TgCom, ai primi di dicembre ha perso il padre. “Quando si è aggravato – racconta – ho chiesto ai medici del Galliera di Genova della terapia anticorpale, se ne parlava da mesi. Mi hanno spiegato che serve per evitare che i positivi si ammalino al punto in cui è arrivato mio padre, per lui era tardi. Scoprire che la si produce a Latina e ce la volevano pure regalare mi lascia senza parole”.

Ti potrebbero interessare

Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione