Le sfide globali

A John Kerry la delega sul clima, gli aiuti fiscali italiani non aiutano l’ambiente: la rassegna internazionale

Non sarà semplice il compito dell'ex segretario di Stato del presidente Obama, incaricato adesso da Biden di convincere i leader mondiali che gli Stati Uniti sono pronti a riprendere il loro ruolo di leadership. Intanto secondo uno studio la pandemia ha reso i cittadini più consapevoli dei rischi per il Pianeta

1 Dicembre 2020

Cosa accade in America

A John Kerry la delega sul clima, ecco perché il suo compito sarà difficile

Quando John Kerry è stato segretario di Stato del presidente Barack Obama, ha contribuito a guidare i negoziati dell’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, fissando gli impegni di quasi 200 nazioni – compreso il suo – per iniziare a invertire il riscaldamento del Pianeta. Ora il suo compito diplomatico potrebbe essere più complicato. Il 23 novembre scorso il presidente eletto Biden ha detto che avrebbe nominato Kerry suo inviato presidenziale speciale per il clima, creando una nuova posizione a livello di gabinetto. In quel ruolo, Kerry dovrà convincere i leader globali scettici – “bruciati” dall’ostilità dell’amministrazione Trump nei confronti della scienza del clima e dal suo rifiuto dell’accordo di Parigi del 2015 – che gli Stati Uniti sono pronti a riprendere il loro ruolo di leadership, anche in ambito climatico. La nomina di Kerry non solo come diplomatico itinerante, ma anche come membro in carica del Consiglio di sicurezza nazionale di Biden eleva la questione del cambiamento climatico ai più alti gradi del governo e indica che l’amministrazione entrante intende trattare “il clima crisi come la minaccia urgente alla sicurezza nazionale che è”, come ha detto Kerry in una dichiarazione.

Fonte: New York Times

In Italia

Gli aiuti fiscali italiani non aiutano l’ambiente né il clima

Il nostro Paese ottiene il punteggio peggiore tra gli Stati europei inclusi nell’indice che misura l’impatto ambientale delle misure fiscali in risposta al Covid-19. Bene Francia, Spagna e Germania, Stati Uniti fanalino di coda. Secondo il rapporto “Greenness of stimulus index” (Gsi) pubblicato dalla società di consulenza Vivid Economics nell’ambito del Finance for Biodiversity, il Next Generation Eu è il piano di stimolo fiscale più attento alla tutela dell’ambiente tra quelli messi in campo dalle principali economie mondiali. L’Italia ottiene il punteggio peggiore principalmente a causa delle sue performance ambientali di base e per aver adottato poche misure ambientali specifiche. Il pacchetto iniziale contenuto nel “Decreto Cura Italia” era in gran parte indirizzato alla sanità, al welfare e al supporto di emergenza per le imprese, rileva il Rapporto. Il “Decreto Liquidità” sta fornendo 400 miliardi di euro di sostegno alla liquidità delle imprese mentre il “Decreto Rilancio” introduce misure aggiuntive sia per le famiglie che per le imprese. Con il “Decreto Agosto” l’esecutivo ha stanziato ulteriori 25 miliardi di euro per imprese e lavoro. Inoltre il governo italiano, spiega il Rapporto, ha varato un piano di salvataggio per Alitalia da 3 miliardi di euro a condizione che la compagnia aerea non licenziasse i dipendenti e ha anche pianificato di assumere la piena proprietà dell’azienda. Secondo lo studio, il salvataggio di Alitalia non è stato però vincolato all’adesione a obiettivi ambientali da parte della compagnia.

Fonte: Asvis

Legambiente: la legge di bilancio poco sostenibile

La legge di bilancio non fa gli interessi dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile italiano. Lo sostiene Legambiente, che auspica interventi correttivi in ottica green prima che il provvedimento giunga in Parlamento. Il testo dovrebbe arrivare alla Camere per inizio dicembre. Critiche dall’associazione sono rivolte al rinvio della “Plastic tax” e dell’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili. L’associazione in questi giorni ha chiesto inoltre anche di prorogare il Superbonus 110% al 2025 e di estendere l’Ecobonus 110% anche alle barriere architettoniche. Legambiente ha avanzato anche numerose proposte suddivise in dieci temi chiave: oltre alla fiscalità ambientale e la riqualificazione energetica in edilizia, l’economia circolare e la tutela di risorse naturali, la mobilità sostenibile, l’adattamento ai cambiamenti climatici, il sostegno alla filiera del biologico, il potenziamento dei controlli ambientali, il sostegno alla ricostruzione pubblica delle aree colpite da sisma, la risoluzione delle pratiche inevase dei condoni edilizi.

Fonte: Legambiente

Gli studi

Perché l’abuso di antibiotici rischia di scatenare una crisi sanitaria globale

Prendi qualche antibiotico, starai bene in pochi giorni. Quante volte abbiamo sentito questo consiglio? Ma quella che può sembrare una via facile e veloce per uscire dalla malattia, sembra sempre più pericolosa. Ogni volta che una persona o un animale viene trattato con un antibiotico, parte di quel farmaco, spesso più di due terzi di quello che viene assunto, viene escreto nell’ambiente. Una volta nell’ambiente, nel suolo o nell’acqua, questi residui di farmaci consentono agli organismi resistenti ai farmaci di prendere piede, aumentare di numero e successivamente diffondersi infettando esseri umani, animali e piante. “Sebbene i farmaci antimicrobici siano fondamentali per proteggere la salute umana e animale, il loro uso improprio, anche nel settore dell’allevamento, dell’acquacoltura e della produzione agricola, crea residui nei nostri ecosistemi. Ciò spinge l’ambiente fuori equilibrio, il che a sua volta offre maggiori opportunità di prosperare agli organismi resistenti ai farmaci”, ha affermato Susan Gardner, Direttore degli ecosistemi per il Programma ambientale delle Nazioni Unite (Uenp). Con la crescita della resistenza antimicrobica, il mondo rischia di creare una nuova generazione di “superbatteri”, resistenti a più di una classe di farmaci. Già oggi, le infezioni resistenti ai farmaci uccidono una persona ogni minuto. Secondo gli esperti di salute, la cifra potrebbe presto salire molto più in alto. Si stima che 700.000 persone muoiano ogni anno a causa di infezioni da resistenza antimicrobica e un numero incalcolabile di animali malati potrebbe non rispondere al trattamento.

Fonte: United Nations Environment Program

Ispra: per le messa in sicurezza del suolo servono 26 miliardi

Il Rapporto ReNDIS 2020, e cioè il “Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo”, intende illustrare le attività e i risultati di venti anni di monitoraggio sugli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico, nel tentativo di supportare il processo decisionale della politica. ReNDIS rappresenta una piattaforma nazionale dove sono stati monitorati tutti gli interventi, dal 1999. Secondo l’Ispra, a fronte di una richiesta di oltre 26 miliardi di euro per la messa in sicurezza del territorio, la cifra stanziata negli ultimi venti anni dal ministero dell’Ambiente si aggira intorno ai 7 miliardi di euro, per un totale di circa 6mila progetti finanziati. Soldi che sono stati indirizzati soprattutto alle categorie in cui rientrano le alluvioni, il 48% del totale, e le frane, con il 35%. È la Sicilia la regione italiana ad aver ricevuto l’importo maggiore con 789 milioni di euro finanziati per 542 interventi. Seguono la Toscana, 602 milioni di euro per 602 interventi, la Lombardia 598 milioni di euro per 544 interventi e la Calabria, 453 milioni di euro per 528 interventi. Per quanto riguarda, invece, le richieste di finanziamento, sono oltre 7.800 le proposte progettuali presenti nella piattaforma ReNDIS che, come detto precedentemente, per essere realizzate necessitano di un importo complessivo che supera i 26 miliardi di euro. Al momento è la Campania la regione con il più alto numero di richieste attive, per un fabbisogno di 5,6 miliardi di euro da utilizzare per la realizzazione di 1.192 progetti, al secondo posto la Calabria (872 progetti per 1,7 miliardi), e poi Abruzzo (764 per 1,6 miliardi) e Sicilia (748 per2,2 miliardi).

Fonte: Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (Ispra)

Cittadini e aziende più informati e consapevoli sui cambiamenti climatici

Uno studio Euromedia presentato all’Engie Green Fridyas 2020, evidenzia una maggiore presa di coscienza rispetto alla sostenibilità da parte di cittadini: ben il 68% ha infatti dichiarato di aver modificato i propri comportamenti, cercando di ridurre le proprie emissioni inquinanti, dopo l’arrivo della pandemia. Un incremento del +12,4% rispetto ai riscontri ricevuti un anno fa, prima del Covid. Il 40% delle aziende (soprattutto nel manifatturiero), nonostante l’impatto economico dovuto all’emergenza, ha continuato nei propri programmi finalizzati al miglioramento dell’efficienza energetica, dato rilevato su un campione (43%) che aveva intrapreso una green roadmap prepandemia. Il 48% delle aziende, inoltre, è consapevole che i cambiamenti climatici influenzeranno significativamente la propria attività e il proprio settore nei prossimi 5 anni. Oltre la metà delle aziende (52%) ha messo in campo iniziative per una maggiore sostenibilità (es. lavoro a distanza per ridurre gli spostamenti, attività informativa sul tema delle CO2) e, per il 60,4%, queste misure hanno prodotto effetti positivi dal punto di vista sia ambientale che di maggiore benessere lavorativo, tant’è che il 91,7% ritiene che saranno mantenute anche dopo la fine dell’emergenza Covid-19. La leva principale, però, nonostante il maggiore interesse per la sostenibilità sia lato cittadini che aziende, rimane l’aspetto economico. Le aziende chiedono infatti in maggioranza contributi a fondo perduto (33,5%) e sgravi fiscali (22%), seguiti (19%) da incentivi statali e un quadro normativo più chiaro. Anche i cittadini sono più propensi ad agire se possono mettere in campo azioni a costo zero o che prevedano un risparmio o un incentivo. Secondo il parere degli intervistati il maggior potere nel rallentare il riscaldamento globale è in mano a istituzioni e aziende. I cittadini vedono la possibilità di un cambiamento a favore della sostenibilità grazie all’intervento del Governo (41%), istituzioni locali (25%) e aziende (15%).

Fonte: Engie Italia

Il clima è già cambiato: ecco gli impatti decennali del climate change sui nostri centri urbani

L’Osservatorio CittàClima di Legambiente dal 2010 a fine ottobre 2020 ha registrato sulla sua mappa 946 fenomeni meteorologici estremi in 507 Comuni. Fenomeni in costante crescita, come emerge dal Rapporto 2020 “Il clima è già cambiato”. Nell’ultimo decennio, i Comuni italiani hanno visto succedersi 416 casi di allagamenti da piogge intense (319 dei quali avvenuti in città) che hanno determinato 347 interruzioni e danni alle infrastrutture con 80 giorni di stop a metropolitane e treni urbani; 83 giorni di blackout elettrico; 14 casi di danni al patrimonio storico-archeologico; 39 casi di danni provocati da lunghi periodi di siccità e temperature estreme; 257 eventi con danni dovuti a trombe d’aria; 35 casi di frane causati da piogge intense e 118 eventi (89 avvenuti in città) da esondazioni fluviali. Tra gli altri dati che emergono, in questi dieci anni l’Osservatorio CittàClima ha contato 251 morti, di cui 42 riferiti al solo 2019, in aumento rispetto ai 32 del 2018. 50 mila, invece, rileva il CNR, le persone evacuate in seguito a frane e alluvioni. Sotto la lente d’ingrandimento della mappa di CittàClima, le aree urbanizzate della Penisola, le più popolose e spesso sprovviste di una corretta pianificazione territoriale, nonché le più esposte agli effetti del cambiamento climatico. Clamoroso, sottolinea l’Osservatorio, il caso di Roma, dove dal 2010 a ottobre 2020 si sono verificati 47 eventi estremi, 28 dei quali riguardanti allagamenti in seguito alle piogge intense. Legambiente sottolinea come ad aumentare siano gli eventi estremi che riguardano contemporaneamente anche due o più categorie e che gli episodi tendono a ripetersi negli stessi Comuni dove si erano già verificati in passato. Sempre più drammatiche, in particolare, le conseguenze dei danni da trombe d’aria, che nel Meridione sferzano le città costiere, mentre al Nord si concentrano nelle aree di pianura. Più forti e prolungate le ondate di calore nei centri urbani, dove la temperatura media cresce a ritmi più elevati che nel resto del Paese.

Fonte: Rainews

Buone pratiche e soluzioni

Dieta a base di insetti per i polli per diminuire la deforestazione

Cresce la domanda di soia sui mercati mondiali, ma per far spazio ai cambi di soia si radono sempre più foreste. The Guardian si chiede come trovare alternative a una produzione che è destinata per lo più agli allevamenti animali, e in piccola parte al consumo umano diretto. Anche la Fao si sta muovendo per cercare alternative, ad esempio una dieta a base di insetti, che potrebbero sostituire dal 25% al 100% di tutta la soia consumata dall’industria della carne di pollo. Anche la produzione di soia sostenibile è un’opzione, anche se il modo più efficace per fermare la deforestazione causata dalla soia resta la diminuzione del consumo di carne.

Fonte: The Guardian

Perché abbiamo bisogno di un #NataleSenzaAmazon

La crisi del Covid-19 sta mordendo l’economia di tutto il mondo, e i piccoli commercianti, già fortemente provati dal capitalismo sfrenato degli ultimi decenni, rischiano di chiudere le saracinesche per sempre. La petizione francese #NoelSansAmazon punta a “privilegiare il commercio di prossimità”, per motivi che sono diversi, e trasversalmente condivisibili: la lotta alla disuguaglianza sociale, la necessità di un limite al trattamento fiscale privilegiato che spesso esiste a favore dei colossi, l’evidenza dello strapotere delle multinazionali che hanno risorse maggiori del Pil di alcuni Stati, l’impatto ambientale e la crisi climatica, lo sviluppo di un’economia davvero circolare. Tutti acquistiamo beni e servizi e non possiamo sentirci in colpa quando lo facciamo, non c’è dubbio. Quello che possiamo fare è scegliere come, e preferire delle alternative sostenibili almeno ogni volta che questo sia possibile.

Fonte: Greenpeace

Ecco come l’industria cartaria guida l’economia circolare

La 21ª edizione del Rapporto Ambientale dell’Industria Cartaria Italiana certifica un indicatore di Circolarità di Materia pari a 0.79 in una scala da 0 a 1. Un valore elevato, ottenuto grazie alla capacità del settore di investire in materie prime rinnovabili (fibre vergini da foreste certificate e amidi), e di prendersi cura dei suoi prodotti reimmettendo nel ciclo produttivo carta e imballaggio da riciclare. “Il 57% della nostra produzione proviene da fibre riciclate (negli imballaggi siamo oltre l’80%). La carta potrebbe sostituire il 25% degli imballaggi a base di materiali fossili e, grazie alle nuove capacità in corso di avvio, il riciclo potrebbe crescere ancora, passando dalle attuali 10 tonnellate al minuto ad oltre 12. Siamo un settore industriale che di ambiente ci vive: foreste per la materia prima, aria e acqua per lavorarla e fuoco per asciugarla” ha spiegato il Presidente di Assocarta Poli. I protagonisti della filiera chiedono di semplificare la normativa per le autorizzazioni, implementare il decreto End of Waste su carta e cartone e realizzare gli impianti per poter rendere la filiera sempre più circolare e libera dalle fonti fossili.

Fonte: Legambiente

115 paesi hanno preso impegni per il ripristino di una zona ampia come la Cina

Secondo un nuovo studio pubblicato alla vigilia del Decennio delle Nazioni Unite sul ripristino degli ecosistemi (2021-2030), i paesi si sono impegnati a ripristinare fino a 1 miliardo di ettari di terra persi a causa dello sviluppo, un’area più o meno delle dimensioni della Cina. Se attuati, gli impegni presi in base a vari accordi internazionali potrebbero fare molto per affrontare il cambiamento climatico, il degrado del suolo e la perdita di biodiversità, nonché raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, compresi quelli sul lavoro dignitoso e sulla sicurezza alimentare e idrica. Secondo lo studio dell’Agenzia olandese per la valutazione ambientale, 115 paesi si sono impegnati a ripristinare il suolo in base ad almeno una delle tre principali convenzioni ambientali internazionali: obiettivi di neutralità del degrado del suolo, contributi determinati a livello nazionale all’accordo di Parigi sul clima e strategie e azioni nazionali per la biodiversità, come uno sforzo per ripristinare le terre degradate e disboscate. L’agenzia olandese stima che l’area attualmente destinata al restauro sia compresa tra 765 milioni e 1 miliardo di ettari. Quasi la metà dell’area da ripristinare è nell’Africa subsahariana, con impegni significativi anche in Asia e America Latina.

Fonte: United Nation Environment Program

Ti potrebbero interessare

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.