Differenziata, ciclabili, perdite d’acqua e addio ai fossili: i ritardi di Roma

Dopo 13 mesi dalla dichiarazione di emergenza climatica, i ragazzi di Fridays For Future sono tornati all'assemblea Capitolina per denunciare la totale insufficienza delle azioni messe in campo per contrastare la crisi ambientale

Di Fridays for Future Roma
3 Novembre 2020

Immaginate di essere in metropolitana e di vedere la persona di fronte a voi indossare la mascherina sotto il naso, di farglielo presente e di chiederle di indossarla meglio, perché in quel modo non serve a niente; immaginate che quella persona vi risponda: “Ma io la mascherina ce l’ho! Non la sto indossando benissimo, però almeno ce l’ho, è già qualcosa”. Bene, questo è il tenore delle risposte che, come Fridays For Future Roma, abbiamo ricevuto in assemblea Capitolina lunedì 26 ottobre da parte di alcuni consiglieri di maggioranza, durante la discussione sulle azioni messe in campo dalla giunta Raggi ad un anno dalla dichiarazione di emergenza climatica del 26 settembre 2019. Dopo 13 mesi da quella mozione dichiarata all’unanimità in Campidoglio, siamo tornati in assemblea Capitolina per denunciare la totale insufficienza delle azioni messe in campo per contrastare la crisi ambientale in corso, con particolare riferimento, fra gli altri, all’inammissibile dato sulla raccolta differenziata ferma al 42%, all’insufficienza dei 15 km di piste ciclabili a fronte dei 150 km previsti nel piano straordinario ciclabile, o alla drammatica crisi idrica ancora irrisolta, che vede perdite nel Lazio del 44% (quindi ogni 100 litri immessi in rete, 44 se ne perdono) con Acea che invece di predisporre un piano massiccio di ristrutturazione della rete idrica, continua a preferire progetti di potabilizzazione del Tevere e di aumento dei prelievi alle fonti. Ultima, ma non meno importante, la questione del PAESC: era il 14 novembre 2017 quando l’amministrazione romana aderiva ai nuovi obiettivi (riduzione delle emissioni del 40% entro il 2030) del patto dei sindaci, il più grande movimento delle città, su scala mondiale, che condividono una visione per il 2050: accelerare la decarbonizzazione dei loro territori, rafforzando la loro capacità di adattarsi agli effetti del cambiamento climatico. Il patto prevedeva la redazione di un Piano d’Azione per l’Energia Sostenibile e il Clima (Paesc) entro due anni dall’adesione, ma, ad oggi, Roma non solo non l’ha presentato, ma non è neppure in grado di fornire una data precisa per la sua pubblicazione, costringendo una città che dovrebbe ambire ad essere capofila dell’innovazione e della transizione ecologica, ad un ritardo pachidermico indecoroso per una Capitale europea.

Resta da chiedersi, quindi, come mai il presidente della commissione ambiente capitolina, durante un incontro al prestigioso Istituto per gli Affari Iternazionali (IAI) agli inizi di ottobre, si sia fatto fregio del Paesc come programma che rende Roma una città all’avanguardia sul fronte della lotta all’emergenza climatica. Noi, per l’appunto, gliel’abbiamo chiesto, ma come risposta abbiamo ricevuto solo un imbarazzante imbarazzato silenzio.

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