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A Latina il pentito del clan: “Nostri i voti di Lega e Fratelli d’Italia”

Regno dei Di Silvio - Agostino Riccardo “canta”: “Controllavamo le urne, Rampelli fu minacciato per mandare alla Camera il nostro uomo”

10 Gennaio 2020

Fabio Rampelli, vicepresidente della Camera. Nicola Calandrini, senatore di Fratelli d’Italia. Matteo Adinolfi, europarlamentare della Lega. Ma anche l’ex tesoriere alla Camera e un’ex consigliera regionale di Fdi. Il 7 gennaio i loro nomi sono risuonati nell’aula del Tribunale di Latina, pronunciati da un pentito chiave del processo al clan sinti Di Silvio, parenti dei Casamonica, a cui i magistrati della Dda di Roma contestano l’associazione mafiosa.

Martedì la voce di Agostino Riccardo, un tempo legato al gruppo dei Travali e poi passato ai Di Silvio, ha colmato gli omissis che nelle carte dell’inchiesta “Alba pontina” condotta da Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro coprivano i nomi dei politici e ha confermato i contatti con gli esponenti della politica pontina. Cui l’organizzazione avrebbe garantito visibilità e voti. “La mia prima campagna elettorale abbiamo fatto diventare noi Travali a Pasquale Maietta assessore al comune di Latina. Fu candidato e prese mille voti”, ha ricordato Agostino in videocollegamento con l’aula da una località protetta. Ex golden boy del centrodestra pontino, coinvolto nel 2016 nell’inchiesta “Olimpia” e nel 2018 finito agli arresti in “Arpalo”, il commercialista era entrato in consiglio comunale nel 2007 e nel 2011 era diventato titolare del Bilancio. Nel 2013 l’approdo alla Camera. In quelle elezioni “il primo della lista di Fratelli d’Italia era Giorgia Meloni, il secondo Fabio Rampelli e il terzo Pasquale Maietta. L’onorevole Rampelli fu minacciato per dimettersi da secondo della lista”, ha scandito Riccardo, gettando una luce sinistra su quanto avvenne ai piani alti di via della Scrofa nelle ore successive al voto: la leader e il vicepresidente della Camera, candidati in prima e seconda posizione nelle circoscrizioni Lazio 1 e Lazio 2, optarono per la prima e per Maietta – terzo nella seconda lista – si spalancarono le porte di Montecitorio. “Non conosco nessuno di questi personaggi – commenta Rampelli al Fatto – quella fu una scelta politica: in quel territorio ottenemmo il 10% e non potemmo non premiarlo con un seggio”.

Nel racconto del testimone centrale dell’inchiesta, insieme all’altro pentito Renato Pugliese, i clan diventano così potenti da spostare centinaia di voti in poche ore. Almeno secondo Riccardo, che martedì ha fatto il nome di Gina Cetrone, oggi in “Cambiamo” di Giovanni Toti ma nel 2013 candidata alla Regione con Fdi: “Ma non fu eletta perché all’ultimo momento ci fu uno scambio di voti – ha raccontato il pentito – Praticamente i 500 voti che sarebbero andati a Gina Cetrone dalla curva del Latina Calcio… (…) essendo presidente del Latina Calcio, Pasquale Maietta ci mandò a di’ che ‘sti 500 voti li dovevamo gira’ a Nicola Calandrini. Infatti i 500 voti della curva li girammo a Nicola Calandrini”. “Non posso escludere che Maietta abbia richiesto a terzi e quindi anche nell’ambiente calcistico, di votare per me alle regionali”, ha commentato il senatore. Ma “escludo di aver avuto conoscenza della presunta mediazione”.

Quello che secondo i testimoni era il metodo per verificare che le preferenze andassero a chi di dovere è descritto nelle carte: gli uomini dei Di Silvio portavano le persone al seggio e poi si facevano consegnare le schede timbrate per confrontare a urne chiuse i numeri tra i voti promessi e quelli effettivamente arrivati. Tutto ricostruito nell’ordinanza alla base dell’inchiesta che nel giugno 2018 decapitò il presunto clan con 20 arresti. Secondo l’accusa, poi, il gruppo si occupava dell’affissione dei manifesti dei politici che pagavano e garantiva loro che non fossero coperti da nessuno.

È il servizio che, racconta Riccardo, il gruppo avrebbe fornito a Matteo Adinolfi. Dopo una vita in An, nel 2016 l’attuale eurodeputato della Lega era tornato in consiglio comunale sotto le insegne di “Noi con Salvini”. A lui l’organizzazione portò “sia visualizzazione che voti. Prese 500 voti”, ha detto il pentito. E 48 ore dopo l’esponente leghista ha diramato una nota “per negare con forza la veridicità di tali affermazioni”.

La deposizione continuerà il 24 marzo, ma oggi il Pd ha convocato una conferenza stampa a Roma. Evocativo il titolo: “Parlateci della mafia” .

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