Con Rousseau l’ignoto fa paura ai potenti

3 Settembre 2019

Quanta paura di Rousseau. Non del filosofo ginevrino, ovvio, ma della piattaforma ideata dalla Casaleggio&Associati e che è il cuore del processo decisionale a 5 Stelle. E che viene costantemente denigrata, insultata e aborrita, come se da essa potesse provenire un veleno capace di sterminare la politica in bella copia amata dal ceto politico dominante. E forse è proprio questo il punto, questa la ragione di tanto odio e di tanta acrimonia.

Ragioniamo, ovviamente, prendendo per buona la validità dello strumento come ha avuto modo di sottolineare Enrico Mentana durante una delle sue Maratone televisive davanti ai suoi ospiti giornalisti più propensi allo scherno e all’insulto.

La schiettezza della votazione è data dalle sue stesse regole: votano gli iscritti da almeno sei mesi regolarmente certificati. Quindi, invece di riunire la Direzione nazionale o chissà quale consesso immaginario – chi ha votato nella Lega per la rottura dell’alleanza di governo? – si dà la parola agli iscritti. Che questo possa generare isteria dominante appare surreale. A meno che non sia proprio l’idea di dare la parola agli iscritti, ai cittadini, a spaventare sopra ogni altra cosa. Il punto è questo. L’idea utopistica di Casaleggio padre e dello stesso Beppe Grillo, agli albori della nascita del M5S, è stata sempre la stessa: sostituire la Rete alle forme tradizionali della politica e permettere a tutti, proprio a tutti, di intervenire. Che il progetto avesse e abbia delle contraddizioni è indubbio. Le decisioni migliori si prendono discutendo apertamente, incontrandosi, parlandosi. Lo stesso Rousseau, che non poteva certamente immaginare cosa fosse la Rete, propendeva, nella sua ipotesi di democrazia diretta, per assemblee in città e Stati non troppo numerosi, abbastanza ristretti da poter far funzionare il meccanismo della decisione priva di delegati.

Ma il principio di fondo, quello che davvero fa paura, è la possibilità di chiamare a decidere una platea di cittadini ignoti. La democrazia diretta è quell’ignoto che fa paura ai potenti. L’ignoto, irriconoscibile, l’alieno si intromette nelle decisioni prese dai vertici di partito e può anche stravolgerle. E che c’è di male? Michele Ainis, su Repubblica, lamenta che la decisione avrebbe dovuto essere stata presa prima, subito dopo la crisi con la Lega. Può darsi, ma allora non c’era la certezza di un governo incaricato e di un programma allegato, cosa che la piattaforma ha annunciato voler mettere a disposizione dei suoi iscritti. Non ci sarebbe stata la chiarezza del quesito – tutti i commentatori hanno dubitato che quel quesito sarebbe stato confuso e pasticciato, cosa che invece non è –, e non ci sarebbe stata la crucialità della decisione, cosa che fa paura e manda tutti nel panico e che invece costituisce il sale della votazione.

Se avrà il via libera della piattaforma, cioè degli iscritti, quindi del corpo sovrano del M5S, il governo Conte non avrà più da temere da quel lato e sarà più forte, molto più forte. Altrimenti, non sarebbe dovuto mai nascere.

Nel 1992, in un saggio scritto in altra epoca storica, Norberto Bobbio ricordava che la democrazia diretta è sempre stata una risorsa della sinistra e che il confronto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa rinviava a quello tra il “socialismo” e il pensiero liberale. È sempre stato così, almeno dai tempi in cui Marx esaltava la Comune di Parigi, come la prima forma di democrazia levatrice di un nuovo assetto di potere. Poi, il declino della sinistra ha consegnato questa ipotesi politica ad altre formazioni e altre culture. Ma la democrazia diretta resta una risorsa inesplorata in un mondo in cui la democrazia istituzionalizzata è in forte crisi. Magari approfondendo partecipazione e dibattito, politico e culturale. Andando, davvero, nel senso indicato da Rousseau.

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