L’analisi

I tweet e il pressing per la nomina. Il caso Siri è anche caso Salvini

Il ruolo del vicepremier - L’indagine sul sottosegretario leghista fa luce su conflitti di interessi e rapporti di Arata con un imprenditore legato, secondo i pm, a Messina Denaro

19 Aprile 2019

L’indagine per corruzione sul sottosegretario Armando Siri chiama in causa le responsabilità politiche di Matteo Salvini. Siri è accusato di avere messo a disposizione del suo amico Paolo Arata sia la sua funzione politica di senatore sia quella di sottosegretario alle infrastrutture, in cambio della promessa o dazione di 30 mila euro. Salvini poteva non sapere della presunta mazzetta ma doveva conoscere l’attività imprenditoriale dell’uomo al quale ha affidato la stesura del programma della Lega sull’energia. A Arata – secondo i giornali – Salvini voleva affidare niente meno che la guida dell’Autorità Indipendente dell’energia.

Ora non può dire che non conosceva il suo doppio mestiere perché Arata – mentre si spendeva per modificare le leggi grazie a Siri e al suo peso nella Lega – era un imprenditore del settore delle energia e dei rifiuti, non in segreto ma alla luce del sole. Questo rende indifendibile Salvini a prescindere dal fatto che il ministro non sapesse nulla degli affari segreti di Arata con il re dell’eolico siciliano Vito Nicastri, legato secondo i pm al boss Matteo Messina Denaro.

Per capire quanto sia imbarazzante politicamente questa storia per Salvini bisogna partire da tre tweet del vicepremier. Il 16 luglio del 2017 il segretario federale della Lega Nord rilanciava sui social con hashtag #Arata il video dell’intervento dell’ex parlamentare di Forza Italia al convegno della Lega Nord all’hotel Best Western di Piacenza.

Arata in quell’intervento, postato da Salvini su Youtube non faceva mistero di essere un imprenditore del settore energia. Le condivisioni e i like dei tweet non arrivano a 70, numeri infimi per il bulldozer del web. Però il messaggio giungeva chiaro a chi doveva sentirlo: quell’ex parlamentare ormai 69enne di FI è l’uomo dell’energia di Salvini, colui il quale ha steso il programma del partito sull’energia. Il manager che, al primo giro di nomine nel luglio 2018, doveva finire alla presidenza dell’Autorità dell’Energia, Arera. La classica volpe a guardia del pollaio. Ad Arata i pm contestano di essere il prestanome di un imprenditore come Vito Nicastri, legato al boss Matteo Messina Denaro, di qui l’aggravante di tipo mafioso, cioé l’ex articolo 7 ora divenuto 416 bis n.1.

Al di là della questione penale però l’inchiesta pone una questione politica grande come una casa.

Salvini poteva non sapere di Nicastri ma avrebbe dovuto sapere che l’uomo al quale ha affidato il programma della Lega sull’energia controlla molte società che si occupano di energia in Sicilia. A Salvini sarebbe bastato fare le visure camerali sul web per scoprire che Arata e i suoi familiari controllano la Etnea Srl titolare di un impianto di energia eolica a Calatafimi-Segesta, in provincia di Trapani; poi la Solgestra Srl, che vuole costruire, con l’ostilità del M5s, due impianti per il trattamento dei rifiuti, a Calatafimi e Francofonte, provincia di Siracusa. Mentre con altre due società (Ambra Energia e Bion) Arata vuole fare un paio di campi foto-voltaici e con la Solcara punta a far nascere impianti di biogas.

Il problema di Matteo Salvini è che oggi il leader della Lega fa il ministro dell’interno e non può attribuire con leggerezza a un tipo così le politiche energetiche del partito. Chi realizza campi di energia eolica nel trapanese non dovrebbe avere voce in capitolo nelle norme in materia. Possibile che Salvini non sapesse nulla delle manovre di lobby di Arata e Siri a Roma? Possibile che non sapesse nulla dei legami imprenditoriali e politici di Arata in Sicilia?

La società dell’uomo scelto da Salvini per il settore energia in fondo non si chiama Monte Rosa srl ma Etnea Srl e questa inchiesta svela il mutamento genetico della Lega. L’uomo di Salvini nell’energia – per i pm – va a braccetto con il re del vento in Sicilia al quale hanno sequestrato un patrimonio di 1,3 miliardi perché ritenuto legato a Matteo Messina Denaro.

A leggere le carte dei pm sembra che la Lega sovranista non si faccia solo eliminando la secessione dallo statuto ma anche avviando una fattiva integrazione economica con la Sicilia più profonda.

E già perché Nicastri non è solo ‘il re dell’eolico’ come lo definisce lo stesso Arata. Ecco il ritratto che ne fa il pm Guido nel suo decreto di sequestro: “Condannato in via definitiva per i reati di corruzione e truffa aggravata, commessi in relazione a iniziative imprenditoriali nel settore delle rinnovabili, a Nicastri è stata applicata, nel 2012, la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale, nonché quella reale della confisca di un ingentissimo patrimonio, accumulato illecitamente”.

La situazione è davvero insostenibile per il ministro dell’interno. Per i pm, in passato una parte dei soldi guadagnati dal giro di imprese legate a Nicastri finivano proprio al boss: “Il concorso di Nicastri all’associazione mafiosa è stato colto nell’aver sviluppato un’attività speculativa su terreni agricoli con il contributo, e in favore, di appartenenti al sodalizio mafioso, facendo loro guadagnare somme di denaro, in parte destinate anche al latitante Matteo Messina Denaro”.

Per il pentito Giuseppe Sucameli, dal 2006-2007 Nicastri si vanta di potere sviluppare i suoi affari anche grazie “all’appoggio ‘dell’amico di Castelvetrano’”, cioè Matteo Messina Denaro.

Nemmeno dopo l’arresto di Nicastri, Paolo Arata ha cambiato registro. Lui e il figlio Francesco, anche lui indagato, “infatti, non hanno avuto alcuna esitazione a proseguire un rapporto societario di fatto con il detenuto Nicastri, architettando molteplici escamotage per consentire una continua, ed a volte anche diretta, interlocuzione con il re dell’eolico”. Per i pm “Arata ha trovato interlocutori all’interno dell’Assessorato all’Energia della Regione Siciliana, tra tutti l’Assessore Pierobon, grazie all’intervento di Gianfranco Miccichè, a sua volta contattato da Alberto Dell’Utri (fratello di Marcello)”. secondo i pm Arata sarebbe andato anche a chiedere una intercessione sulla Regione a Calogero Mannino. Al Fatto Alberto Dell’Utri dice “Arata mi ha chiamato come ex parlamentare di Forza Italia, amico di mio fratello, e mi ha chiesto di essere messo in contatto con Gianfranco Miciché”. Il presidente del consiglio regionale di FI conferma: “l’ho incontrato un paio di volte e mi ha parlato dell’opposizione che c’era a qualche suo progetto, mi ha chiesto di essere messo in contatto con l’assessore Pierobon, cosa che ho fatto”. Mannino dice: “mi è venuto a trovare a Palermo ma non ho fatto niente per lui. Lo avevo conosciuto come dirigente dell’Icram, un ente che si occupa di ambiente, quando ero ministro dell’agricoltura della Dc, 30 anni fa”. Tutti e tre dicono che Arata non si presentava come leghista ma come ex politico di Forza Italia interessato agli affari dell’energia in Sicilia.

Ecco perché il caso Siri è imbarazzante per Salvini. Perché rivela che dietro la patina del Governo del ‘cambiamento’ il sistema, da Milano alla Sicilia, dalla Lega a Forza Italia, dal 1994 al 2019, resta sempre lo stesso. Armando Siri è accusato di avere usato il suo potere per concordare interventi normativi in favore di chi gli prometteva soldi. Il vero problema però non è la presunta mazzetta da 30 mila euro. Il problema è che la Lega di Salvini si è dimostrata penetrabile come il burro agli interessi privati dell’impresa di Arata e (per i pm) anche di Vito Nicastri, famoso in tutto il mondo come il re dell’eolico vicino a Matteo Messina Denaro. Di questo non deve rispondere Siri. Di questo deve rispondere il ministro dell’interno che deve dare la caccia a Messina Denaro: Matteo Salvini.

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