Migranti

Sea Watch, top secret sui porti chiusi, ma i pm di Roma indagano

Il caso Sea Watch - Il Viminale nega l’accesso agli atti sulla decisione di rifiutare l’approdo anche ai minori soccorsi in gennaio dalla Ong

Di Alessandro Mantovani e Valeria Pacelli
9 Marzo 2019

Potrebbe essere la Procura di Roma, se lo riterrà utile, a farsi consegnare i provvedimenti con i quali il Viminale e le Capitanerie di porto, nel gennaio scorso, hanno negato l’accesso ai porti italiani alla nave Sea Watch 3 con a bordo 47 migranti, perfino dopo l’ordine di far sbarcare i 15 minori da parte del Tribunale dei minorenni di Catania. Ma ci saranno poi questi provvedimenti? O “chiudere i porti” è più facile scriverlo su Twitter che costruirci sopra un atto amministrativo formale, motivato e ragionevole?

Il caso è noto. L’imbarcazione della Ong tedesca il 19 gennaio scorso soccorre i naufraghi al largo della Libia, il comandante chiede invano un “porto sicuro” a Roma e a Malta. Rimane in mare per poi avvicinarsi all’Italia per sfuggire a una tempesta. Il porto di Lampedusa è negato e la nave viene lasciata per giorni davanti a Siracusa, quindi arriva l’autorizzazione a sbarcare a Catania come è avvenuto solo il 31. A quel punto il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro diffonde un comunicato quanto meno insolito per escludere ipotesi di reato a carico dell’equipaggio della nave umanitaria e smentire così le tesi dei ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli secondo i quali sarebbero dovuti andare in Tunisia o chissà dove.

Ora un fascicolo sullo sbarco ritardato è aperto a Roma dopo l’esposto di un gruppo di avvocati dell’associazione “Lasciateci entrare”. È sul tavolo del pm Sergio Colaiocco, per ora senza ipotesi di reato. Intanto però uno dei legali, Alessandra Ballerini – che assiste anche i familiari di Giulio Regeni e qui rappresenta l’Adif, Associazione diritti e frontiere – ha chiesto ai ministeri dell’Interno e delle Infrastrutture e Trasporti, ai sensi del decreto legislativo 33 del 2013 sull’accesso civico e la trasparenza, di pubblicare “provvedimenti” e “comunicazioni” sul “divieto di approdo nei porti italiani” per Sea Watch e la loro risposta alla richiesta dei giudici minorili di far sbarcare subito i minori, che godono di speciale tutela.

Il Viminale le ha risposto, con una lettera del capo di gabinetto Matteo Piantedosi di cui ha dato notizia ieri Avvenire, che “la tipologia di atti richiesti non è soggetta a pubblicazione obbligatoria”. Non è un segreto di Stato, alla magistratura se li chiedesse dovrebbero consegnargli, ma la risposta all’avvocato Ballerini è negativa e priva di motivazione. È comunque un passo avanti rispetto alla prima, a firma del direttore della polizia di frontiera: scriveva infatti che “questa Direzione”, cioè la sua, “non ha prodotto e non detiene alcun provvedimento/comunicazione” sulla vicenda. Almeno il prefetto Piantedosi fa intendere che qualche provvedimento c’è, però ritiene di non essere tenuto a pubblicarlo, sia pure senza spiegare perché. Il ministero delle Infrastrutture non ha risposto.

Se in generale l’accesso ai porti è gestito dalle Capitanerie (Infrastrutture), quando si tratta di navi con a bordo migranti la procedura introdotta nel 2015 prevede che il porto sia indicato dal Viminale, non dalla polizia ma dal Dipartimento libertà civili e immigrazione. Queste comunicazioni sono state acquisite dal Tribunale dei ministri di Catania che vorrebbe processare il ministro Salvini per il caso della nave Diciotti (il Senato dovrà decidere a breve dopo il no della Giunta): email, telefonate, non sempre provvedimenti veri propri. L’accusa, in quel caso, è proprio di aver usato ad altri scopi, politici e di pressione sui partner dell’Ue, i poteri che l’ordinamento assegna per gestire con ordine gli sbarchi.

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