Fernando Aiuti, se n’è andato il mio alleato. Ma l’Hiv c’è ancora, pericoloso rimuoverlo

10 Gennaio 2019

Fernando, il mio alleato.

Piccolo, magro, rude così il primo fotogramma di Aiuti che si annida tra una infinità di ricordi.

Fu una vera e propria alleanza quella che in modo silente stipulammo guardandoci negli occhi nel lontano 1986. Io ero il paziente e lui il medico. Non sapevamo cosa avrebbe potuto generare il nostro cammino, non lo sapeva né il paziente né il medico, perché la malattia e la medicina hanno entrambe delle incognite enormi. Ci siamo accompagnati, sorretti, ascoltati, scazzati, perdonati e perfino baciati per arrivare a divulgare il nostro credo: sconfiggere l’Aids e gestire l’Hiv, non aver paura di ciò che non meritava la paura, temere con consapevolezza ciò che andava temuto, prevenire e informare per essere più sicuri, senza però demonizzare.

Mediaticamente ci aiutammo con il bacio e la foto è quella che oggi, seppur sbiadita, fa parte delle raccolte più importanti delle immagini di quegli anni, ma a guardare meglio quella immagine non si sente il sapore di un bacio ma il sapore del coraggio. Il coraggio del medico, del sapere, del divulgare, di curare, di far conoscere misto al coraggio del paziente di seguire, di imparare, di ascoltare, di curarsi, di non mollare. Così quell’immagine si astrae dal contesto e diventa utile in tante occasioni. E anche grazie a quel coraggio riassunto in un bacio i risultati in quegli anni li abbiamo raggiunti, direi appieno. Ma i risultati vanno mantenuti e custoditi altrimenti rischiano di perdersi, di morire. Quindi la morte di Aiuti oggi per me sa generare vita, nuovamente vita, come quella che decisi di difendere anche grazie a lui.

Non mi appassiona sapere come e perché Fernando se ne sia andato, mi interessa salutarlo da alleata, a modo nostro. Lo saluto come lui avrebbe salutato me: guardando ai nuovi numeri dell’Hiv. Le nuove infezioni, in leggero calo fino al 2015, sono da allora sostanzialmente stabili (690 casi nel 2017, incidenza in media con la Ue. Mentre dall’82 i casi in Italia sono stati 69.734) . Sono numeri che non ci dicono nulla di buono, sono numeri che fanno Milano capitale italiana per le malattie infettive (con un’incidenza di 8,2 infetti ogni 100 mila abitanti), sono numeri che ci segnalano che l’Hiv non solo non fa più paura come un tempo, il che è ragionevole, ma non viene più considerato un problema di salute pubblica, e questo è pericoloso. È in atto un fenomeno di rimozione collettiva del problema, che deve essere affrontato con nuovi strumenti di analisi e comprensione e contrastato con nuovi approcci comunicativi. Non basta cercare il modo di far capire che l’Hiv non è un problema risolto, è necessario prima capire i motivi per cui nessuno sembra aver voglia di sentirselo dire.

Per cui oggi, proprio oggi, se pur orfana del mio alleato, non posso trovare il tempo per sublimare il dolore come vorrei ma devo rimboccarmi le maniche e ricominciare anche da capo, se necessario. Devo ricercare alleati, baciatori coraggiosi, medici, pazienti, laici che abbiano quella voglia che negli anni 80 ci ha permesso di fermare una pericolosa ascesa.

Fortunatamente io non ero l’unico paziente e Fernando non era l’ultimo medico coraggioso. Andiamo avanti con coraggio, lo dobbiamo a noi che restiamo e a Fernando che va.

*Giornalista, si occupa di politiche sociosanitarie, è presidente di Fondazione The Bridge e di Donne in Rete onlus, presidente onorario di Nps Italia onlus, il primo network dei sieropositivi. Nel 1991 il bacio con cui Aiuti smentì i pregiudizi su Hiv e Aids. Ha un blog su ilfattoquotidiano.it.

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