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Trattativa, arringa flash ma anche la presidenza del consiglio vuole la condanna degli imputati

Processo Stato-mafia - La parola alle parti civili: Palazzo Chigi alla fine si associa all’accusa con un intervento di venti secondi

Di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza
2 Febbraio 2018

Al microfono solo poche parole: “Ci associamo alle richieste del pm”, il resto affidato a una memoria scritta. Nell’aula bunker di Palermo l’arringa-flash (durata appena 20 secondi) dell’avvocato Fabio Caserta, parte civile per la Presidenza del Consiglio, dopo le amnesie e i silenzi istituzionali che hanno accompagnato il processo di Palermo, segna l’adesione, frettolosa e sbrigativa, di Palazzo Chigi alla tesi accusatoria.

Un capolavoro di sintesi che nel processo per la Trattativa Stato-mafia ha aperto la fase delle arringhe con l’avvocato Caserta che, nella doppia veste di legale della Presidenza del Consiglio e della Regione siciliana, ha parlato in assenza del suo capo, l’avvocato dello Stato Giuseppe Dell’Aira, lo stesso che nel 2013 si era opposto alla testimonianza di Giorgio Napolitano su quanto gli aveva confidato il consulente Loris D’Ambrosio (a proposito dell’essere stato considerato “uno scudo a indicibili accordi”). Più loquace, dopo di lui, Giovanni Airò Farulla, difensore di parte civile del Comune di Palermo, che ha citato proprio la deposizione di Napolitano, ricordando “che in quest’aula ha confermato come negli anni della Trattativa il presidente del Consiglio e tutto il governo ebbero paura di un colpo di Stato”. Airò Farulla ha poi sostenuto che “la Trattativa c’è stata, portando con sè il tradimento delle istituzioni”. Anche l’avvocato del Comune si è associato alle richieste dei pm, così come ha fatto l’avvocato Salvatore Battaglia, che ha parlato per conto di Libera. Dopo una disquisizione semantica sulla parola Trattativa (“non è il frutto di qualche pm vanesio o di qualche predicatore dell’antimafia, ma un termine usato dagli stessi imputati generale Mario Mori e colonnello Giuseppe De Donno”), Battaglia si è scagliato contro gli attacchi al processo, definiti “i tanti contributi esterni, spesso inopportuni”, che hanno accompagnato il dibattimento. “Altro che teatrino – ha detto – altro che farsa: questi termini indirizzati ai pm hanno finito per mortificare gli imputati e tutte le parti del processo”.

L’avvocato di Libera ha sottolineato che l’eventuale risarcimento sarà destinato dall’associazione di don Luigi Ciotti all’istruzione, e in particolare “a un progetto per rivolto all’università sull’etica delle professioni”. Poi, per descrivere Ciancimino jr, definito “non superteste, ma imputato’’, Battaglia ha citato John Le Carré (nel libro Il nostro traditore tipo) e, indirettamente McLuhan: “Lo scrittore fa dire a un personaggio ‘il messaggero è importante quasi quanto il messaggio e forse è egli stesso il messaggio’. Il marchio Ciancimino era il marchio, la garanzia della Trattativa”. E se alla fine Massimo si è rivelato “un pasticcione’’, è pur vero che i “suoi pasticci li sta espiando tutti”. E proprio su Ciancimino jr si è centrato l’intervento dell’avvocato Francesco Bertorotta, parte civile per l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro, destinatario della calunnia contestata al figlio di don Vito. Tutto ruota attorno alla consegna di un biglietto “taroccato”, con il nome di De Gennaro messo in relazione al fantomatico signor Carlo-Franco. Ciancimino jr prima ha detto che quel nome lo vide scrivere da suo padre, poi ha ammesso di aver mentito, e ha raccontato che quel pizzino farlocco lo ebbe da un fantomatico signor Rosselli-Rossetti, mai identificato.

“Ciancimino ha dichiarato consapevolmente una circostanza falsa, e ciò determina la calunnia – ha detto Bertorotta – nella determinazione del danno morale chiedo che si ponga evidenza all’enorme eco mediatica data alla notizia falsa che De Gennaro, il più stretto collaboratore di Giovanni Falcone, fosse dietro chissà quali strategie criminali”. Si riprende stamane con l’avvocato Danilo Ammannato, parte civile per i familiari di via dei Georgofili.

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