I conti in tasca

Alitalia, “la compagnia può ripartire solo puntando sul lungo raggio. E conviene che lo gestisca lo Stato”

Il guaio non è nei costi, che sono in linea con i competitor, ma nei mancati ricavi. Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica alla Bicocca: "Con 4 miliardi di investimenti graduali può davvero decollare ed è meglio che li metta il governo. Lo dico da liberista"

27 Aprile 2017

Spacciata. Preda dei concorrenti. Da cedere a pezzi o liquidare. Per gli ultimi medici che si avvicendano al capezzale di Alitalia il suo futuro è segnato. “Non può essere nazionalizzata, l’Ue lo vieta e i cittadini non lo vogliono”, ripete il ministro dello Sviluppo Carlo Calenda. Stessa linea dei 5Stelle. “Esiste una via più razionale che comprende lo Stato in un ruolo attivo”, spiega invece Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica alla Bicocca di Milano, tra i massimi esperti del settore e già consulente del governo.

Alitalia è l’unica ad aver perso 600 milioni (secondo le stime) in un 2016 record per il settore. I tre campioni continentali – Air france-Klm, la tedesca Lufthansa e Iag (British AirwaysIberia) – hanno chiuso con 4,5 miliardi di utili. Secondo Arrigo la causa è nell’assurdo modello di business intrapreso. Con la liberalizzazione degli anni duemila i vettori low cost hanno conquistato quote sempre maggiori di mercato, domestico ed europeo. Le grandi compagnie hanno reagito spostandosi sul profittevole lungo raggio – dove la concorrenza è minore – che oggi pesa per il 70% della loro offerta. Per Alitalia è stato il contrario: il lungo raggio è sceso al 30-35% con i “capitani coraggiosi” di Roberto Colaninno per poi risalire al 50% con gli arabi di Etihad arrivati con James Hogan. La struttura è rimasta grosso modo quella impostata dal mitico “piano Fenice” del 2009, quando Ryanair non c’era e Alitalia aveva il 70% del mercato interno. “Da allora le low cost si sono prese metà del mercato. Qui i ricavi della compagnia per passeggero sono scesi del 40%, in quello dei voli intra-europei del 20% mentre sul lungo raggio sono rimasti uguali”, spiega Arrigo. Eppure Alitalia ha mantenuto il 40% del mercato domestico, sfracellandosi contro la concorrenza delle low cost e dei treni dell’Alta velocità sussidiati dallo Stato senza spostare il peso su quello europeo, di cui ha solo il 10%, dove almeno la concorrenza delle ferrovie non c’è.

Il docente della Bicocca ha effettuato una simulazione per capire le ragioni del tracollo. Assumendo conti almeno in pareggio sul lungo raggio, ha separato il bilancio 2015 (l’ultimo noto) scaricando le perdite sul medio-corto raggio per calcolare l’effettivo costo medio per volo. Il risultato è sorprendente: “Quello sostenuto da Alitalia è più basso di Easyjet. I suoi problemi non sono nei costi operativi, che sono in linea con i competitor. Perfino quelli del personale pesano solo il 16% del totale. Il problema è tutto nei mancati ricavi. Nelle rotte brevi mediamente un passeggero paga le stesse tariffe in Alitalia o Easyjet, solo che la prima, come Ryanair, riempie gli aerei per il 90% mentre nella seconda la quota di biglietti invenduti sfiora il 25%”. In questo scenario non ha nessun senso pensare di tagliare 1 miliardo di costi, come fingeva i fare il piano industriale offerto dai vertici di Alitalia: “Vanno ridotti quelli unitari per passeggero, non quelli totali altrimenti perdi solo ricavi”.

Esiste allora una soluzione alternativa che coinvolga il governo. “Il commissario deve valutare se il segmento del lungo raggio sta in piedi da solo, se è così allora qualunque soggetto può acquisirlo, anche lo Stato e senza violare le regole Ue perché non è in perdita”. Una scelta anche strategica per l’industria turistica italiana: “Garantisce voli diretti che i vettori europei farebbero solo in terza battuta dopo aver alimentato il loro hub. Se arriva Lufthansa prediligerà Francoforte, poi Monaco e solo infine Fiumicino. Air france-Klm farebbe lo stesso con Parigi e Amsterdam”. Oggi Etihad impedisce ad Alitalia di entrare nel mercato del sud-est asiatico, così come l’allenza con Air France-Klm blocca quello nordamericano, ma la nuova forma giuridica che nascerebbe dopo il commissariamento farebbe decadere gli accordi aprendo nuove strade.

Secondo Arrigo il medio-corto raggio può essere invece venduto alle low cost, oppure riportato alla profittabilità. “Il guaio dell’Alitalia pubblica è nato dopo la fine dell’Iri. Avevamo 35 aerei sul lungo raggio negli anni 90, con i ‘capitani coraggiosi’ siamo scesi a 25. Con 4 miliardi di investimenti graduali Alitalia può davvero decollare, e conviene che sia lo Stato italiano a intervenire. E lo dico da liberista. I lavoratori ci hanno risparmiato altri due anni di prese in giro”. Se il governo sceglierà un commercialista come commissario, sarà chiaro che si va alla vendita o allo spezzatino.

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