Nel Palazzo

Gentiloni sulle banche inizia ad allargare la maggioranza

Il decreto per Mps andrà rivisto e inizierà il suo iter in Senato: Berlusconi darà una mano

5 Gennaio 2017

Le crisi politiche nei partiti maturano nel tempo. Sergio Mattarella lo ha ripetuto a tutti i suoi collaboratori nei giorni successivi alle dimissioni di Matteo Renzi da premier, ma la portata di questo brocardo di saggezza democristiana va ben al di là della velocissima nomina di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi. Questo governo sembra nato moribondo, eppure la dinamica della sua dipartita rischia di essere meno breve di quanto si augurano proprio Renzi e i suoi non pochi sostenitori che invocano sui giornali il voto a giugno, a maggio, ad aprile o anche prima se si può. L’esecutivo Gentiloni è infatti un malato in ottima salute, come dimostrano le sue prime manovre parlamentari.

Il caso di scuola è quello del decreto banche, l’unico provvedimento di rilievo – ma enorme – approvato finora: ci si riferisce al decreto che stanzia 20 miliardi per ricapitalizzare gli istituti in difficoltà, primo tra tutti il Monte dei Paschi di Siena. Ebbene, questo testo così delicato doveva iniziare il suo iter parlamentare alla Camera – dove grazie al Porcellum (la vecchia legge elettorale) la maggioranza è schiacciante – ma durante le feste al governo hanno cambiato idea: se ne occuperà per primo il Senato, dove invece i numeri sono assai meno tranquillizzanti. Perché una scelta apparentemente così irrazionale? Risposta in breve: perché, come vedremo, iniziare a Palazzo Madama è necessario e perché i numeri in realtà non sono un problema visto che Gentiloni può già oggi contare su una sorta di “appoggio esterno” di Forza Italia.

Andiamo con ordine. Perché il Senato? Perché sul decreto banche forse si dovrà fare un po’ di lavoro al limite della legittimità regolamentare e il presidente della commissione Bilancio del Senato, il giornalista Giorgio Tonini (Pd già veltroniano, oggi renzianissimo), s’è mostrato più malleabile del suo dirimpettaio della Camera, l’economista Francesco Boccia (Pd pure lui, corrente #enricostaisereno). Subito dopo Capodanno, per dire, dal Tesoro era venuta fuori quest’idea: siccome i miliardi che servono alle banche sono nuovo debito pubblico e noi abbiamo problemi con l’Ue proprio su questo, perché non farsi dare un po’ di soldi dalle società partecipate tipo Cassa depositi e prestiti o Ferrovie? Un trucchetto bizzarro su cui Boccia ha subito messo a verbale: “Si tolgano dalla testa ogni operazione creativa: che si tratti di aziende quotate o no, non vanno coinvolte”. E poi: quei venti miliardi, in ogni caso, “sono sufficienti per garantire il capitale che non si riesce a reperire sul mercato” ma non bastano per “smaltire le sofferenze” (i prestiti che non tornano indietro e affossano i bilanci). Tradotto: stiamo ancora in alto mare.

Fosse solo questo: il decreto rischia di essere modificato anche per l’intervento della Commissione europea, che ha l’ultima parola – lo dice lo stesso testo – sulla “compatibilità dell’intervento con il quadro normativo dell’Unione europea”, che com’è noto esclude interventi pubblici se non dopo adeguata “punizione” di azionisti e obbligazionisti (che invece il decreto del governo esplicitamente tenta di salvare). E quindi, visto che gli interventi “creativi” alla Camera rischiano di schiantarsi su un muro regolamentare e politico, si va in Senato dove l’aria è paradossalmente più tranquilla.

A Palazzo Madama, infatti, Gentiloni e il suo governo hanno più amici di quanti ne servano. Denis Verdini e i suoi accoliti, così necessari alla sopravvivenza dell’esecutivo Renzi nell’ultimo periodo, come si sa sono stati tenuti fuori da governo e maggioranza, eppure la tenuta numerica non preoccupa affatto Palazzo Chigi: non ci sono solo i quasi 170 senatori che hanno esplicitamente votato la fiducia, ma pure i 42 eletti di Forza Italia a vigilare sulla salute del malandato governo in carica, i quali possono sempre bilanciare (alla chetichella) le eventuali defezioni nella maggioranza.

Silvio Berlusconi ha bisogno di appoggio per la nuova guerra di Segrate (stavolta contro Vincent Bolloré) e di tempo per capire che fare col litigioso campo del centrodestra che fu (Salvini e Meloni). Il lungo moribondage di Paolo Gentiloni gli serve come l’aria, una legge che non sia maggioritaria e non lo obblighi a fare una coalizione pure. I matrimoni d’interesse, in politica, hanno sempre avuto un certo successo: le crisi, d’altronde, nei partiti maturano col tempo.

Ti potrebbero interessare

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.