’ndrangheta

Nicolino il contadino è un super boss: condanna a 30 anni

Considerato l’esportatore dei clan in Emilia e al nord

Di Lucio Musolino e Ferruccio Sansa
6 Novembre 2016

Trent’anni di reclusione. Il tribunale di Catanzaro ha condannato Nicolino Grande Aracri. Pochi conoscono il suo nome, il suo volto scolpito da contadino. E quel corpo massiccio con il collo troppo largo per la cravatta. Un “boss potentissimo e sconosciuto”, secondo i pm di mezza Italia. Perché Grande Aracri, sostiene l’accusa, è l’uomo che ha fatto mettere radici alla ’ndrangheta in mezza Italia. Dall’Emilia alla Lombardia, dalla Toscana al Veneto, con propaggini a Roma e in Liguria.

Nel corso della requisitoria i pm di Catanzaro Domenico Guarascio e Vincenzo Capomolla avevano chiesto l’ergastolo per il principale imputato del processo di primo grado. È l’inchiesta Kyterion, parallela all’operazione Aemilia che ha svelato gli interessi della cosca di Cutro al nord. Grande Aracri è stato giudicato colpevole di associazione mafiosa, estorsione e dell’omicidio del boss Antonio Dragone, ucciso nel maggio 2004.

Kyterion ed Aemilia, oltre a ricostruire i ruoli nella famiglia mafiosa di Cutro, fanno luce sulle entrature di Nicolino Grande Aracri nei palazzi che contano: dalla massoneria al Vaticano passando per la Cassazione. Secondo la Procura, infatti, la cosca di Cutro aveva cercato di aggiustare un processo a Roma per favorire Giovanni Abramo, cognato di Grande Aracri. Nicolino detto “mano di gomma” fino al Duemila non era conosciuto da nessuno: “Lavoravo nei campi, ho pagato tutti i contributi”, si lamenta lui. Poi, sostengono i pm, la famiglia Grande Aracri irrompe sulla scena: scalza i Dragone ed entra in guerra con i Vasapollo. Ci sono morti in Calabria e in Emilia che si scopre terra di ’ndrangheta.

Per questo la condanna di Grande Aracri a Catanzaro getta una luce ancora più plumbea su tante vicende del nord. Troppo a lungo taciute o sottovalutate. Perché Nicolino lo ritrovi ovunque. I Grande Aracri hanno scelto Reggio Emilia e la sua provincia come testa di ponte per lo sbarco. A Brescello (il comune di don Camillo, appena sciolto per mafia) vive Francesco Grande Aracri, definito dagli inquirenti della Dda di Bologna “elemento di spicco della cosca di Cutro capeggiata dal fratello Nicolino”.

Già, Cutro, quella cittadina calabrese da cui provengono migliaia di cittadini di Reggio Emilia. Cutro dove tanti politici emiliani andavano per pellegrinaggi religiosi (alla Madonna) e forse elettorali. Nel 2009 toccò a Graziano Delrio. Che su questo fu anche sentito come testimone (mai indagato): i pm gli fecero notare che Cutro è nota per essere la patria di Nicolino Grande Aracri. E Delrio, allora sindaco di Reggio, queste cose doveva saperle: “So che esiste Grande Aracri… Sì, no, se lei mi chiede: ‘Sa che Grande Aracri è nativo di Cutro?’ La mia risposta è non lo so, non ne sono sicuro, non lo ricordo… So che è collegato alla ’ndrangheta legata… anche a Cutro”.

Reggio Emilia, quindi, ma anche la dirimpettaia Mantova. È in corso in questi mesi il processo per la lottizzazione di Lagocastello. Nicolino segue in videoconferenza dal carcere di Opera. Lui c’è, controlla, come i grandi capi. Anche se nega: “Io non sono un boss, sono un contadino”. Intanto a Bologna è arrivata la sentenza di primo grado per l’inchiesta Aemilia: sei anni e otto mesi.

Gli uomini di Cutro sono dappertutto. Anche a Verona, come si legge nell’ordinanza emiliana: “L’organizzazione ’ndranghetista intravvede, dall’eventuale acquisizione dei beni immobili fallimentari e delle aree ex industriali ubicate tra la Gardesana e Verona, la possibilità di ricavare ingenti introiti, ammontanti a diversi milioni, che deriverebbero dalle vendite degli immobili in acquisizione… l’operazione dimostra la capacità di penetrazione anche in contesti diversi dall’Emilia, come quello veronese, coinvolgendo settori dell’imprenditoria”.

Ma nelle carte si trovano altri passaggi allarmanti. Ditte vicine a Grande Aracri che avrebbero compiuto lavori nei porti di Fiumicino e Imperia. Poi, nel decreto di fermo dell’inchiesta Kyterion, intercettazioni di Nicolino che parlano di contatti con la massoneria. Chiamano in causa quella genovese: “Sai che non puoi entrare nella loggia tu?… però sotto … la massoneria di Genova… io diciamo… ho avuto la fortuna… diciamo… di capire certe cose”.

Nel luglio scorso a Roma sedici persone sono state arrestate per usura e riciclaggio. Per la Dia il capo dell’organizzazione è un ex carabiniere, oggi avvocato. Proprio il difensore di Nicolino. Per dirla con Christian Abbondanza che con la Casa della Legalità da anni si batte contro la ’ndrangheta: “Grande Aracri è stato condannato a Catanzaro. Ma questa sentenza è un allarme per tante altre regioni. Dal Nord alla Capitale”.

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