Casa di vetro

Foia, la trasparenza è legge: il governo corregge il tiro, ma restano le eccezioni e mancano le sanzioni

L'esecutivo ha fatto marcia indietro sulla "tassa sulla trasparenza" e la norma sul silenzio-rigetto immotivato. Ma non potranno essere pubblicati documenti che pregiudichino sicurezza nazionale e privacy degli eletti

17 Maggio 2016

I Rolex degli emiri forse, gli scontrini di Renzi a Palazzo Vecchio dipende, sempre che informazioni e documenti non pregiudichino le “relazioni internazionali dell’Italia” e la privacy degli eletti. Ma intanto il Consiglio dei ministri del 16 maggio ha dato il via libera definitivo allo sbandierato Freedom of information act, trasposizione in chiave nazionale del celebre Foia, la legge americana che dal 1966 garantisce al cittadino l’accesso a ogni informazione in possesso dello Stato che non contrasti con la privacy e la sicurezza nazionale. Legge quanto mai necessaria all’Italia, il cui difetto ha contribuito a due record poco invidiati: siamo campioni assoluti in corruzione e quintultimi nella classifica dell’accesso alle informazioni di interesse pubblico tra ben 103 Paesi.

La legge c’è ma il testo, in serata, ancora no: alla faccia del decreto sulla trasparenza. In ogni caso, se sarà valido o meno peggio del previsto, la medaglia va a chi l’ha raddrizzato in corsa, imponendo al governo di tornare sui suoi passi. Difficile, dire quanto. In assenza del testo esprime grande cautela chi, compresa la relatrice Anna Ascani (Pd), negli scorsi mesi ha lavorato per migliorare la legge, perché tuteli realmente il diritto alla conoscenza e non sia una mera concessione, ma regola e diritto.

Il testo originario, presto ribattezzato “Foia all’amatriciana”, era passato cinque mesi fa in Cdm e subito era stato impallinato dalle critiche di esperti e associazioni (Foia4Italy, Transparency, Riparte il futuro) che si battono per la trasparenza della burocrazia, fino all’accusa di manifesta inutilità. L’esecutivo non le ha potute ignorare, anche perché nel frattempo venivano recepite e ampliate dalle commissioni Affari costituzionali delle Camere.

Così, alla fine, il governo ha corretto il tiro approvando un testo sostanzialmente diverso. Secondo quanto si è appreso viene ad esempio cancellata la “tassa sulla trasparenza” che aveva fatto gridare allo scandalo, con l’accusa al governo di voler limitare anziché favorire l’accesso agli atti che sarà totalmente gratuito per documenti in digitale e con solo rimborso, da giustificare però, dei costi di riproduzione degli atti in caso di supporti materiali (la carta e i costi di stampa, per dire). Tra le richieste del Parlamento recepite nell’ultima versione ci sarebbe anche la soppressione della norma sul silenzio-rigetto immotivato: gli uffici ed enti pubblici che negheranno l’accesso a un documento dovranno invece motivare la decisione, entro 30 giorni (oggi appena il 35% lo fa).

Mancherebbe ancora, invece, una previsione delle sanzioni per chi non ottemperasse, come era espressamente richiesto dalla legge delega. Un vuoto che dovrà essere colmato in seguito, al pari di altri vistosi “buchi”. Esempi? Il testo definitivo accoglierebbe la richiesta di un canale alternativo al Tar per impugnare eventuali dinieghi, ipotizzando il ricorso stragiudiziale al difensore civico, istituto che difetta però di omogeneità sul territorio: in alcuni casi il difensore esiste solo a livello regionale, in molti comuni non c’è n’è proprio traccia. Risultato: residenza che hai, trasparenza che trovi.

Secondo indiscrezioni, toccherà a Raffaele Cantone mettere le pezze ai vuoti normativi. In particolare alla galassia di “eccezioni” per le quali il diniego diventa legittimo. Un tema molto sentito dai detrattori della legge nella prima versione, perché la genericità e l’estensione delle eccezioni consentono un’eccessiva discrezione per negare e derogare alla richiesta di trasparenza del cittadino. L’Anac avrà sei mesi di tempo per definire linee guida con cui dettagliare deroghe che restano generalissime: la formula ammette il diniego se necessario a evitare un pregiudizio “concreto” – l’aggettivo è una new entry, per evitare risposte vaghe e troppo discrezionali – alla tutela degli interessi pubblici e privati elencati.

I primi si riferiscono a sicurezza pubblica e nazionale, alla difesa e alle questioni militari; poi sono “tutelate” relazioni internazionali; politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato; conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento; regolare svolgimento di attività ispettive. Per interessi privati si intende invece la protezione dei dati personali, la libertà e segretezza della corrispondenza; gli interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, compresi la proprietà intellettuale, il diritto d’autore e i segreti commerciali. A tutti questi si aggiunge il segreto di Stato. Problema: in Italia tutto il resto è noia, e allora a cosa serve il Foia?

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