Taxi, stadio e scissioni: nel paese del tempo perduto e rapinato

23 Febbraio 2017

Nel Paese del tempo perduto, la legge fondamentale non è la Costituzione ma il decreto Milleproroghe. Infatti serve a poco interrogarsi sul perché il governo abbia fatto l’accordo con i tassisti dopo e non prima le sei giornate di scioperi, bombe carta e tirapugni, se non si ha ben chiaro lo spirito del gioco di ruolo in corso. Io, dice lo Stato al cittadino tassista (o creditore della Pubblica amministrazione o parte civile in un processo o in lista per una tac), lasciando marcire il tuo problema ho rubato il tuo tempo: tu vieni pure a riprenderlo se ne sei capace.

Dai e dai può anche succedere che il cittadino tassista sbrocchi (siamo a Roma) pensando agli Uber che fanno tanto figo o ai noleggiatori venuti da lontano ad accaparrarsi clienti in nero.

E lui che deve finire ancora di pagare la licenza di platino (fino a 400mila euro) fa casino in piazza (male, malissimo c’indigniamo noi dai nostri divani), però finalmente ottiene l’attenzione del ministro Delrio. Tempo rapinato (spesso con l’aggravante dei futili motivi) è la prescrizione che ogni anno cancella oltre 130mila processi con altrettante parti lese a cui neppure sarà concesso di scendere in piazza per recuperare con la forza (male, malissimo) ciò che hanno perduto per sempre. Come la donna stuprata vent’anni fa quando era una bambina e che da ieri potrebbe anche incrociare per la strada il suo violentatore. Che condannato in primo grado a 12 anni l’ha fatta franca poiché il fascicolo è riemerso troppo tardi dal pozzo nero del tempo perduto.

E anche se al ministro Orlando “ribolle il sangue”, ci dica a cosa serve ora che il tempo stesso ha sentenziato: sia premiato l’orco? Sarà la festa collettiva dei colpevoli prescritti: vieni a prendermi, così canzoneranno la giustizia con la g minuscola.

Il tempo è denaro ma quello speso dagli americani della Roma per dotarsi di uno stadio non vale più nemmeno la Pizza di fango del Camerun, moneta sgarrupata resa celebre dalla tv di Avanzi. Mai e poi mai alle colate di cemento proclamano i 5 Stelle, all’unisono con il noto ambientalista Caltagirone.

Giusto, ma perché far perdere inutilmente tre anni e vagonate di soldi a chi sapendolo prima sicuramente nell’Urbe neppure ci avrebbe portato un pallone? Semplice: come il potere per Andreotti il tempo logora chi non ne ha più voglia dopo essersi macerato nell’attesa. Si potrebbe andare avanti così all’infinito (ideale unità di misura della nostra burocrazia) citando per esempio le porzioni di vita e di salute che nessuno mai restituirà alle moltitudini incolonnate ogni giorno nel traffico della Capitale, poiché il tempo della “Metro C”, come quello del messia si calcola nei secoli dei secoli.

Ci fu, è vero, Matteo Renzi l’ex premier futurista che, vrooom, accelerò le lancette degli orologi approvando a tambur battente riforme su riforme (stiamo cambiando l’Italia, diceva gioiosamente saltellando sulle vette della modernità). Solo che (le riforme) risultarono tutte sbagliate. Memori della lezione ricevuta nessun politico, fateci caso, si azzarda più a smuovere una scartoffia. Nell’Italia al rallentatore anche la scissione nel Pd avviene alla moviola e perfino la dinamica Bruxelles adegua i suoi tempi a quelli della nazione debitrice scalando le marce della procedura d’infrazione: tra un mese o forse tra un anno chissà.

Mentre l’incarnazione stessa dell’inerzia virtuosa, Paolo Gentiloni, per non dispiacere al dante causa di Rignano non esclude lo zero assoluto: come estrema prova di lealtà (avrebbe detto con humour nero) posso solo farmi venire un altro infarto. Scossa soltanto dai fumogeni dei tassinari incazzati l’Italia appare ancora incerta tra il motore immobile aristotelico e l’Indietro tutta di Renzo Arbore.

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