Amarcord

V-day, 10 anni dopo. L’urlo anticasta che non era ancora M5s. Un “vaffa” che le tv volevano ignorare

8 settembre 2007 - A Bologna il primo atto pubblico di quel che poi diventerà il Movimento 5 Stelle: all’epoca, però, Grillo pensava che il sistema potesse autoriformarsi

6 Settembre 2017

Dieci anni fa, l’8 settembre 2007, Beppe Grillo lanciava a Bologna il primo “V-Day”. La “V” era presa a prestito dal film V per vendetta, ma anche dall’iniziale del Vaffanculo con cui amorevolmente accompagnava i nomi dei 24 parlamentari pregiudicati. Il 5 settembre, nel ricordare l’anniversario, un povero smemoratello di Repubblica ha scritto che quel giorno “ha cambiato la politica italiana”, ovviamente “in peggio”. Perché “inaugurò l’era dell’insulto permanente”: prima invece la politica era roba per educande; poi calarono i barbari e fu la fine. Non s’è accorto, il pover’uomo, di tante cose accadute da allora a oggi. Nemmeno del paradosso grillino: i predatori hanno leggermente migliorato la specie predata. Costringendo i partiti a risparmiarci qualcuna delle tante indecenze che avevano in serbo: non perché siano diventati virtuosi, ma perché “se no vince Grillo”.

Senza quel V-Day, non avremmo avuto la legge Severino del 2012: B. sarebbe ancora senatore e potrebbe ricandidarsi per la settima volta alla presidenza del Consiglio. Anche i piccolissimi tagli ai costi e ai privilegi della Casta (titolo del best seller di Stella e Rizzo uscito proprio nel 2007) non avrebbero mai visto la luce, se Grillo e i suoi ragazzi non avessero fatto una bandiera della sobrietà, della democrazia dal basso e della politica senza soldi. La fine del finanziamento pubblico ai partiti (almeno nelle sue oscene forme dirette) è figlia di quella stagione. Così come le vittorie democratiche nei referendum del 2011 su nucleare, lodo Alfano e acqua pubblica e del 2016 sulla Costituzione.

Al V-Day io c’ero, a parlare di legalità, senza neppure immaginare gli sviluppi di quel movimento nascente. Ma nemmeno Grillo e Gianroberto Casaleggio avevano in mente un partito. Il V-Day era l’estrema conseguenza dello sdegno sfogato da Grillo in anni di spettacoli, già pienamente politici, anche a sua insaputa: energie alternative, nuove politiche dei rifiuti, ambientalismo spinto, crac bancari (quello della Parmalat l’aveva anticipato lui d’un paio d’anni), invettive contro malapolitica, malafinanza, malainformazione. Comico e “difensore civico”. Tutt’altro che anti-sistema: sperava ancora di indurre il sistema, a calci in culo, ad autoriformarsi.

Nell’estate 2007, sul suo blog (nato nel 2005, uno dei più letti al mondo), lanciò le primarie programmatiche online, discusse per otto mesi da 800 mila persone su proposte di insigni esperti (anche il Nobel Joseph Stiglitz). Poi andò dal premier Romano Prodi a consegnargli il dossier finale: energie rinnovabili, wi-fi gratis, rifiuti e cemento zero. Il Prof lo ascoltò per qualche minuto, sprofondato nel divano di Palazzo Chigi, poi socchiuse gli occhi. “Mi stavo solo concentrando”, disse poi. “Encefalite letargica”, sentenziò Beppe.

L’8 settembre, ricorrenza del tragico armistizio, ecco il V-Day. Sottotitolo: “Parlamento pulito”. Almeno 100 mila persone in piazza Maggiore, più dieci volte tante collegate da altre 200 piazze. Sul palco giornalisti, scrittori, artisti, docenti. Sotto, gli attivisti dei Meetup raccolgono firme su tre leggi di iniziativa popolare: incandidabilità dei condannati in Parlamento, tetto massimo di due legislature, abolizione del Porcellum per tornare a scegliere deputati e senatori. In mezza giornata, 350 mila adesioni. Una cosetta da niente, infatti i tg Rai, Mediaset e La7 non mandano una sola telecamera né un inviato (ci sono solo i cameramen di Sky e di Annozero). Basta non parlarne e il V-Day non esiste. Le agenzie di stampa inventano “attacchi”, “insulti”, “offese a Marco Biagi”, anche se in dieci ore nessuno l’ha mai citato. Si è solo criticata in un filmato la legge 30 perché aumenta il precariato. Il Tg1 delle 20 diretto da Gianni Riotta non inserisce neppure il V-Day nei titoli, e gli dedica 29 secondi da studio: “S’è svolto a Bologna e in altre città italiane il Vaffa Day del popolare comico genovese…”. Il direttore del Tg2 Mauro Mazza (quota An) legge un editoriale dal titolo “Grillo e grilletti”. E col volto terreo, come se fossero tornate le Br, ammonisce Grillo col gesto della pistola: “Che accadrebbe se qualcuno, ascoltati gli insulti di Grillo, premesse il grilletto?”. Peccato che Grillo non abbia mai evocato né pistole né fucili, diversamente da Bossi.

La stampa intuisce subito la minaccia incombente per i poteri marci e scatena i suoi esperti, quelli che capiscono sempre tutto: Grillo è “antipolitico”, “qualunquista”, “populista”, “giustizialista”, “fascista”, “terrorista” e soprattutto “volgare”. Montezemolo alza il ditino ammonitore: “A risolvere i problemi dell’Italia con i vaffanculo non ci credo”. Eugenio Scalfari, su Repubblica, scomunica il movimento grillino come fenomeno “anarcoide e individualista”, “anacronistico”, “antipolitico”: “invasioni barbariche… del law & order nei suoi aspetti più ripugnanti; ci vedo dietro la dittatura… slogan della peggiore destra, quella populista, demagogica, qualunquista… piazza pulita per il futuro dittatore”. Andrea Romano, dalemiano dell’Einaudi di B. e della Stampa di Agnelli, non ancora evolutosi in deputato montiano e poi renziano, trova che in un Paese normale il V-Day “verrebbe recensito nelle pagine dello spettacolo”.

Riotta si rifà con uno Speciale Tv7. “Ora vediamo chi è davvero Grillo”, dice lanciando un servizio-scoop: a una festa dell’Unità del 1981, il comico pretese addirittura che gli pagassero il cachet, tanto perché sia chiaro che “non esistono vergini”. Le indagini del Tg1 sui crimini di Grillo proseguono senza sosta nei giorni seguenti: i segugi di Riotta scoprono addirittura che, fra i 3 mila commenti giornalieri sul blog, ce n’è uno negazionista e filonazista (subito cancellato).

Intanto le tre leggi popolari vengono imboscate in un cassetto del Senato e lì riposeranno in pace per sempre, nonostante una tragicomica convocazione di Grillo davanti alla commissione Affari costituzionali del Senato.

Il 25 aprile 2008, secondo V-Day, stavolta a Torino, dedicato alla malainformazione. In piazza San Carlo 100 mila persone, più altri 2 milioni collegati da tutta Italia. Oltre 500 mila firme raccolte su tre quesiti referendari per abolire l’Ordine dei giornalisti, la legge Gasparri e i finanziamenti pubblici ai giornali. Grillo si appella al Pd: “Copiate il nostro programma, ve lo regalo”. Ma la risposta di partiti e giornali al seguito è sempre la stessa: fascista, qualunquista, antipolitico, volgare.

Nell’estate 2009 Grillo si iscrive alla sezione del Pd di Arzachena per correre alle primarie e diventare segretario. Piero Fassino, ultimo leader Ds, gli nega l’accesso perché è “ostile” e lo sfida a farsi un partito. Di lì a poco verrà accontentato: la prima di una serie di brillanti profezie. “Se Prodi e Veltroni – ci dirà Casaleggio pochi mesi prima di morire – avessero accolto le nostre proposte, avrebbero dato la svolta al Pd e al sistema politico e il M5S non sarebbe mai nato. Ma dopo i due V-Day i giornali, soprattutto di sinistra, ci trattarono come una via di mezzo fra dei mangiatori di bambini e una setta satanica. E così raccogliemmo la sfida che ci aveva lanciato, pensando di prenderci in giro, Fassino. E fondammo il Movimento 5 Stelle”. Che, dopo 10 anni e 8,5 milioni di voti, per chi non vuol vedere né sentire, è ancora una parolaccia.

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