Il reportage

Migranti in Albania, via ai lavori per Cpr e hotspot: corsa contro il tempo per terminarli. Il racconto dai cantieri

Meloni e Rama - Iniziati i lavori, hanno 40 giorni

Di Piefrancesco Curzi Icons/ascolta
14 Aprile 2024

Un compound al porto di Shengjin, le vecchie strutture militari a Gjader dove per evitare le fughe dei profughi verrà eretto un muro di contenimento alto 7 metri. “Repubblica Italiana. Realizzazione di due centri per il rafforzamento della collaborazione in materia migratoria. Sito di Shengjin”. Partiti i lavori in Albania, ecco come il governo di destra sposterà la frontiera migratoria a oriente. Dieci giorni fa gli italiani hanno iniziato a mettere le mani all’hotspot nel piccolo porto nel nord dell’Albania dove verranno accolti i naufraghi recuperati dalle motovedette della Guardia costiera e della Guardia di finanza nel canale di Sicilia. Il cartellone all’esterno annuncia l’inizio attività il 23 marzo scorso, in realtà le ditte arrivate dall’Italia stanno operando da pochi giorni.

Qualcosa inizia a muoversi anche nell’ex base militare di Gjader, abbandonata da anni nella campagna a una ventina di chilometri a nord-est di Shengjin (in italiano San Giovanni Medua). Qui all’ombra della montagna, dove durante la guerra fredda il regime di Enver Hoxa celava i suoi aerei da combattimento, sorgerà il Cpr dove i profughi maschi verranno tenuti come in un carcere, isolati da tutto e tutti. Procediamo con ordine, partendo dalla costa e dal minuscolo scalo di Shengjin, seguendo la rotta e i movimenti che faranno i poveri cristi salvati in mare. A 90 km a nord di Durazzo, fino a qualche anno fa accoglieva i traghetti da Bari nel periodo estivo, poi quel traffico si è arenato. Restano pochi pescherecci in quasi totale disarmo. L’unico movimento è al cantiere dell’hotspot.

Siamo riusciti a entrare e a vedere con i nostri occhi cosa si sta facendo. Per ora un’area è stata spianata e lì sorgerà la struttura di prima accoglienza per migranti, tra identificazioni e impronte digitali. Opere e oneri a carico dell’Italia, appaltati dal governo alla società di Ingegneria Akkad con sede a Roma, Soggetto Attuatore l’Aeronautica Militare e Stazione Appaltante il Ministero della Difesa con la Direzione Generale dei lavori affidata all’ingegner Giancarlo Gambardella. C’è fretta di terminare l’opera, la premier Meloni vorrebbe inaugurare di persona la struttura il 20 maggio. A occhio e croce siamo in ritardo, non tanto a Shengjin quando a Gjader. Proviamo a chiedere lumi agli addetti dell’azienda che segue il cantiere, ma quando sentono le parole “giornalista italiano” scappano nel container di rappresentanza. Siamo a metà aprile, eppure da giorni la temperatura a Shengijn è fissa a 30 gradi. Le decine di hotel di lusso sono quasi del tutto ancora vuoti, i turisti, kosovari in larghissima parte, inizieranno ad arrivare soltanto a fine maggio. Eppure qualche ombrellone aperto sulla spiaggia sabbiosa c’è. Il porto si trova all’estremità nord del golfo di Shengjin, protetto da una collina verdeggiante puntellata da strutture militari in disuso miste a ville super lusso, tutte rigidamente abusive.

Quasi nessuno in Albania, soprattutto a Lezhe, il capoluogo di cui Shengjin fa parte, sa come funzionerà realmente l’accordo tra Italia e Albania: “Da quanto abbiamo capito – spiega Frano, un uomo d’affari con molti interessi e rapporti strettissimi con l’Italia – i migranti arriveranno dall’Italia e noi li dovremmo tenere dentro queste strutture prima di consegnarli ai Paesi d’origine. Se è così non ci sono problemi, altrimenti per il turismo e per noi sarebbe un grosso problema”. Pochi, compreso Frano, sanno come stanno davvero le cose, le priorità sono la tenuta sociale di una zona già depressa rispetto al florido sud dell’Albania dove Edy Rama, il premier albanese, ha puntato le sue attenzioni di sviluppo.

Sono le campane e i galli che svegliano all’alba e non il muezzin. Qui a Lezhe (Alessio, il capoluogo della provincia) come a Gjader, che ufficialmente conterebbe circa 7 mila abitanti, ma in realtà è abitato da poche centinaia di anime: “I residenti sono quasi tutti all’estero o a Tirana” spiega un cronista locale. Ci accompagna al sito vero e proprio, dove i migranti africani e asiatici potrebbero restare da 28 giorni, il tempo minimo per le pratiche di asilo, fino a 18 mesi: “Ho provato ad avere informazioni ufficiali dal governo, ma non c’è stato verso. Ci dicono che lì dentro ogni anno dovrebbero transitare circa 36 mila stranieri (3 mila è la potenzialità mensile di accoglienza, sulla carta, moltiplicata per i dodici mesi dell’anno), ma per il resto non si sa altro”.

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