Il Fatto di domani. Kiev in ritirata annuncia l’ennesima controffensiva. E Meloni si impegna con Zelensky per 10 anni. Terzo mandato, la rivolta dei governatori

Di FQ Extra
23 Febbraio 2024

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GUERRA RUSSIA-UCRAINA, ZELENSKY ANNUNCIA UNA NUOVA CONTROFFENSIVA. LE IPOTESI SUL CAMPO: L’ANALISI DI FABIO MINI. Alla vigilia dell’anniversario dei due anni dall’invasione russa dell’Ucraina, Giorgia Meloni ha dato un segnale all’alleato, firmando un accordo di cooperazione con Kiev sulla falsariga di quelli già sottoscritti da Francia e Germania, Danimarca e Regno Unito. L’Italia si impegna a garantire per 10 anni assistenza economica, diplomatica e militare all’Ucraina, incluso il sostegno all’ingresso nella Nato e nell’Ue. Il problema, però, è che non è chiaro l’impegno economico. Ufficialmente, il nostro Paese ha dato a Kiev 670 milioni, a fronte dei 7 miliardi promessi da Berlino e i 3 promessi da Parigi. La Farnesina ha fatto capire che in realtà l’Italia dona di più, perché le nostre forniture militari sono secretate, ma gli alleati Ue si dicono comunque scontenti. Anche Parigi e Berlino, però, come abbiamo raccontato sul Fatto di oggi, tendono a dare meno di quello che promettono. Senza parlare del fallimento strutturale del comparto della Difesa europeo di mantenere gli impegni presi con Kiev per le munizioni: dovevamo darne 1 milione all’anno, ne abbiamo fornite 300 mila. Mentre all’opposto la Russia ha consolidato la sua economia di guerra. Domani l’Italia presiederà una riunione del G7 su questi temi, prevista in videocollegamento, ma c’è l’ipotesi che Meloni andrà in presenza nella capitale ucraina. Sul Fatto di domani leggerete un nostro approfondimento sulle risorse stanziate finora dagli europei per Kiev. Vedremo anche come sta andando la guerra al fronte. L’avanzata lenta ma continua di Mosca negli ultimi mesi è un fatto. Anche per questo Volodymyr Zelensky ha annunciato una nuova controffensiva, che guarderà al Mar Nero e al sud. “Non rimarremo fermi”, dice il presidente ucraino. Per gli analisti militari, nel 2024 l’Ucraina dovrà fare di tutto per mantenere le posizioni, sperando di poter rilanciare nel 2025. Restano le incognite sulla tenuta del sostegno occidentale. Nel frattempo, come annunciato, gli Stati Uniti hanno prodotto un nuovo pacchetto di sanzioni contro 500 soggetti russi (banche e aziende finanziarie e militari) come risposta alla morte di Navalny. Morte per cui tutti i Paesi occidentali hanno già detto di ritenere direttamente responsabile Vladimir Putin.


TERZO MANDATO, LA RIVOLTA DELLA CASTA. La Lega ha perso la battaglia del terzo mandato per i presidenti di Regione, ma la maggioranza non si è spaccata. Nonostante il principale sconfitto di questa partita sia il governatore del Veneto Luca Zaia, Matteo Salvini ieri ha chiarito che non aprirà una crisi per questo. Del resto, da Fratelli d’Italia gli hanno fatto notare che il terzo mandato non è nel programma di governo con cui il centrodestra si è presentato alle elezioni. È Giorgia Meloni in persona a chiudere la questione garantendo che il governo andrà avanti senza intoppi. Una spaccatura su questo tema, invece, potrebbe arrivare forse nel Pd. Perché Stefano Bonaccini è uno dei più strenui sostenitori del terzo mandato e la sua area non ha nascosto la delusione per il “no” espresso ieri dal partito sul voto al terzo mandato. La segretaria dem Elly Schlein oggi è dovuta intervenire per placare gli animi. L’impegno a discutere nel partito proseguirà, ha detto Schlein, specificando che il voto di ieri era contro Zaia e non contro altri: “Nel Pd ci sono persone fortemente a favore del terzo mandato e persone fortemente contrarie”. Sul Fatto di domani racconteremo la rivolta dei ras della politica italiana, che cerca di restare al potere il più possibile. Leggerete anche un dossier sulle elezioni in Sardegna. Qui forse qualche problema potrebbe esserci, visto che secondo fonti interne alla maggioranza, la Lega avrebbe dato ai suoi dirigenti l’indicazione di votare Renato Soru e non il candidato ufficiale della coalizione, Paolo Truzzu.


OPERAI IN CASSA INTEGRAZIONE, MA L’AD TAVARES GUADAGNA AL MESE COME TUTTI I DIPENDENTI STELLANTIS. Prima il braccio di ferro con il governo Meloni, poi la saga familiare legata all’eredità degli Agnelli. Poi la doccia fredda della nuova cassa integrazione a Mirafiori (è il 17esimo anno di ammortizzatori). Situazione già prevista dalla Fiom-Cgil qualche tempo fa: “Se la produzione delle auto scende sotto le 200 mila l’anno, in quella fabbrica non vale la pena nemmeno accendere la luce”. Previsione azzeccata. Ora, con i lavoratori scesi a 12 mila unità, escono i dati della retribuzione milionaria di Carlos Tavares, il manager che da Parigi regna su Stellantis: 13,5 milioni di stipendio a cui va aggiunta la quota variabile del bonus che vale 10 milioni. E la cosa paradossale è che un mese di stipendio dell’amministratore delegato equivale alla somma dei 12 mila salari che paga ai lavoratori. “Una situazione insostenibile. Il punto è invece redistribuire il valore che viene prodotto in termini di salario e in orario”, afferma il segretario generale della Fiom Michele De Palma. Sul Fatto di domani vi daremo conto della situazione.


GUERRA ISRAELE-HAMAS. GLI USA E L’ANP BOCCIANO IL PIANO DI BIBI SU GAZA. TRATTATIVA SUGLI OSTAGGI, “MODERATO OTTIMISMO”. Al 140° giorno di guerra – scaturita dal massacro firmato il 7 ottobre da Hamas con 1.200 morti e più di 300 ostaggi – il premier israeliano Bibi Netanyahu per la prima volta ha presentato al gabinetto di sicurezza un documento sulla gestione di Gaza, dopo la conclusione del conflitto. Il primo ministro pensa a “funzionari locali” che possano amministrare i servizi nella Striscia al posto di Hamas come prima del 2007 quando gli estremisti islamici presero il controllo estromettendo l’Autorità nazionale palestinese. Anche se l’Anp non viene citata in modo esplicito, nel testo si parla di persone “non legate a Paesi o entità che sostengono il terrorismo”. Altro punto: l’agenzia delle Nazioni Unite Unrwa dovrà lasciare la Striscia, dopo che diversi suoi impiegati, secondo l’accusa dello Stato ebraico, hanno preso parte alla strage del 7 ottobre. Inoltre si ribadiscono dei passaggi per Netanyahu fondamentali: operazioni militari a Gaza fino alla distruzione di Hamas e Jihad Islamica, rientro degli ostaggi rapiti il 7 ottobre, libertà di azione delle forze israeliane nella Striscia. Ai confini, sono previsti una zona cuscinetto tra Gaza e Israele, e una chiusura a sud di Rafah in collaborazione con l’Egitto. Un piano subito bocciato dal segretario di Stato Usa, Blinken: “Per quanto riguarda i piani post-Gaza, ho letto dei report ma non ho visionato il piano israeliano. Ad ogni modo ci sono dei principi di base che vogliamo far rispettare: non ci dev’essere nessuna rioccupazione israeliana a Gaza”. Critiche anche dall’Autorità palestinese, con la dichiarazione del portavoce, Nabil Rudeineh: “Gaza farà parte solo dello Stato palestinese indipendente con Gerusalemme come capitale, qualsiasi piano in senso contrario è destinato al fallimento”. Sulla trattativa per rilasciare gli ostaggi – un dialogo che si snoda tra Parigi e il Cairo con vari emissari – Hamas ha ribadito: chiede la scarcerazione di 3.000 detenuti palestinesi, in ogni caso non accetterà di liberare le persone portate via il 7 ottobre, se l’esercito israeliano non si ritirerà dalla Striscia. Tuttavia, la delegazione israeliana oggi ha lasciato Parigi parlando di “cauto ottimismo” sulla conclusione degli accordi. Sul Fatto di domani leggerete maggiori particolari sul piano di Netanyahu e sui vari aspetti della crisi in Medio Oriente.


LE ALTRE NOTIZIE CHE TROVERETE

Cariche agli studenti pro-Palestina a Pisa e Firenze. Nelle due città toscane due cortei studenteschi, di medi e universitari, sono stati manganellati dalla polizia, con diversi feriti. A Pisa è successo quando i manifestanti hanno provato a entrare in Piazza Cavalieri, a Firenze quando hanno provato a raggiungere il consolato Usa. Unidici docenti hanno scritto una nota per esprimere sconcerto per quelle che definiscono “scene di inaudita violenza”, i sindaci delle città e tutti gli atenei della regione hanno condannato l’eccesso di violenza. Il Dipartimento di Polizia fa sapere di aver avviato una riflessione e che le tensioni derivano dal fatto che i cortei non erano autorizzati.

Gli Elkann querelano Lodovico Antinori per l’intervista al Fatto. I legali di John, Ginevra e Lapo Elkann hanno ricevuto mandato di sporgere querela nei confronti del marchese Lodovico Antinori, uno dei principali imprenditori italiani del vino e per anni amico della famiglia Agnelli, per quanto ha dichiarato nell’intervista pubblicata oggi dal nostro giornale. Nel testo Antinori, che dava in affitto a Marella Agnelli la propria dimora a Saanen, in Svizzera, sostiene che la vedova dell’Avvocato fu costretta a lasciare St. Moritz e trasferirsi lì “per accomodarsi” con i ragazzi.

Navalny, il suo team denuncia: “Ultimatum alla madre per il funerale segreto”. Lei rifiuta. Le autorità russe hanno dato un ultimatum alla madre di Alexei Navalny: se non accetta funerali segreti per il figlio, il dissidente sarà sepolto in Siberia, nella colonia penale dove è morto. L’informazione filtra da Kira Yarmysh, la portavoce del team, e dalla moglie dell’oppositore Yulia Navalnaya. Lyudmila Navalnaya ha rifiutato, chiedendo il rispetto della legge che impone la consegna della salma entro due giorni dall’accertamento delle cause della morte. Navalny ha perso la vita una settimana fa. Le autorità parlano di “decesso naturale”, mentre alcune fonti giornalistiche ipotizzano che Navalny sia stato ucciso con un “pugno al cuore”, secondo una tattica del servizio segreto Fsb.


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Assange, ecco perché i colleghi lo hanno scaricato dopo averlo sostenuto (e utilizzato)

di Sabrina Provenzani

Nei giorni scorsi ho seguito l’udienza con cui la difesa di Assange ha tentato di ottenere la possibilità di fare appello contro la richiesta Usa di estradizione, altrimenti imminente e già approvata da un giudice, oltre che firmata dall’ex ministro degli Interni britannico Priti Patel nel giugno 2022. Come ho già scritto, è un appello in extremis: se respinto, a Wikileaks non resta che un ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’uomo che potrebbe, potenzialmente, bloccare la procedura.

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