Domande e risposte

Insicurezza alimentare: all’origine ci sono le lobby, non l’Ucraina

Mais, grano, cereali, olio - Il Wwf fa chiarezza su quanto sta accadendo, sull'aumento dei prezzi e sulla “morsa speculativa della crisi”

Di WWF Italia
4 Aprile 2022

Le conseguenze della guerra in Ucraina ci ricordano quanto sia fragile la sicurezza alimentare, basata su modelli di produzione agricoli intensivi.

Per fronteggiare la crisi dei mercati in tempo di guerra in molti – fra cui diversi politici – hanno chiesto di aumentare le produzioni cancellando o indebolendo le attuali misure ambientali della Politica Agricola Comune e del Green Deal europeo. Tra le richieste più clamorose troviamo l’abolizione del divieto dell’uso di pesticidi nelle aree di interesse ecologico e l’utilizzo dei terreni a riposo, ovvero di quelle aree meno produttive dal punto di vista agricolo, ma essenziali per la conservazione della biodiversità.

Queste richieste sono irrazionali e controproducenti. La verità è che la produzione alimentare globale è sufficiente per sfamare la popolazione mondiale, ma è attualmente mal utilizzata. I veri rischi alla sicurezza alimentare nel nostro Paese non derivano dal conflitto in corso in Ucraina, ma dalle bolle speculative che condizionano produzioni e mercati a partire dalle crisi finanziarie del 2008 e 2011; a queste si aggiungono le gravi conseguenze della crisi climatica che già pesa in maniera significativa sui sistemi agricoli per effetto della siccità e aumento dei fenomeni meteorologici estremi.

Vogliamo pertanto spiegare in maniera semplice le vere ragioni che generano l’attuale insicurezza alimentare e come è più opportuno affrontarla creando un sistema agroalimentare resiliente e equo anche in situazione di crisi.

È vero che la guerra ha messo in crisi il sistema agroalimentare italiano?

NO: gli effetti della crisi collegata alla guerra in Ucraina sui sistemi agroalimentari in Italia sono limitati solo ad alcune materie prime che il nostro Paese importa dall’est dell’Europa, in particolare mais e olio di girasole. L’unico settore che avrà delle ripercussioni dirette è quello zootecnico, grande consumatore di mais: in Ue il 70% delle materie prime per i mangimi degli animali (fra cui mais) è infatti di origine extra Ue. Anche in Italia maggior parte (oltre l’80%) del mais è destinata all’uso zootecnico e solo la restante parte è utilizzata per altri impieghi.

Oltre alla perdita del mais ucraino (da cui proviene quasi la metà del mais importato in Europa e il 13% di quello importato in Italia), è stato annunciato il blocco delle esportazioni di mais anche dall’Ungheria per tutelare la domanda interna, ma anche per speculazioni finanziarie legate all’aumento dei prezzi sul mercato globale. L’Ungheria con circa il 35% è il principale fornitore di mais per l’Italia. Le importazioni di mais dell’Italia rappresentano poco meno del 50% della domanda interna, in aumento da alcuni anni in conseguenza del crollo delle superfici a mais in Italia. Gli agricoltori italiani hanno, infatti, smesso di produrre mais per la filiera zootecnica per il suo basso prezzo sul mercato, preferendo altre colture in grado di garantire redditi più alti. Il risultato di queste scelte, dettate solo dalla logica del massimo profitto, è la perdita dell’autosufficienza nella produzione di mais in Italia, ridotta in un decennio al 50% del fabbisogno totale.

Anche la filiera dell’olio di girasole (usato per conserve, prodotti da forno, salse, fritture) risentirà degli effetti della guerra, perché l’Ucraina detiene il 60% della produzione e almeno il 75% dell’export mondiale e rappresenta il principale coltivatore di girasoli al mondo. L’olio di girasole può essere però sostituito con altri oli vegetali disponibili sul mercato.

È vero che quest’anno avremo carenza di grano e cereali a causa della crisi ucraina?

NO: le aziende agroalimentari italiane importano dall’Ucraina una ridotta quantità di grano, il 5% del proprio fabbisogno, che può essere agevolmente soddisfatto dalla produzione europea di frumento che supera attualmente la domanda interna degli Stati membri dell’Unione. L’aumento del costo del grano, duro e tenero, è in atto da ben prima del conflitto in Ucraina ed è causato da una parte dalle speculazioni finanziarie e dall’altra dalla riduzione delle produzioni in Canada, come conseguenza della siccità che ha colpito il nord America nella stagione 2020-21. Nel 2022 eventuali carenze di grano o altri cereali in Italia potrebbero essere generate dalla grave siccità che sta colpendo il nostro Paese. I Paesi più vulnerabili agli effetti della guerra sono quelli del nord Africa, un problema questo che dovrà essere affrontato dalla FAO.

Le speculazioni finanziarie stanno condizionando la produzione di materie prime agroalimentari?

SÌ: una delle possibili cause della crisi del settore agroalimentare, determinata dall’aumento dei prezzi delle materie prime, oltre che dei carburanti e dei fertilizzanti chimici di sintesi, è da individuare senz’altro nella speculazione finanziaria. Vi è una differenza sostanziale nella logica d’azione degli operatori commerciali tradizionali da quelli finanziari. I primi prendono le loro decisioni di acquisto e vendita dei “futures” (contratti che stabiliscono l’impegno da parte dei contraenti a vendere e acquistare una certa quantità di merce a una data futura per un prezzo stabilito) principalmente in base alle previsioni dei livelli di produzione delle materie prime agricole, sulla base degli andamenti della domanda e sulle informazioni relative alla consistenza delle riserve esistenti. Gli operatori finanziari sono guidati, invece, da logiche svincolate dai livelli della produzione agricola, seguendo esclusivamente le intenzioni di vendita o acquisto dei titoli che sono di breve o brevissimo termine. I prezzi salgono ancora di più perché l’offerta cala e la domanda cresce, indipendentemente dalla produzione agricola reale, solo per effetto delle strategie di acquisto e vendita dei titoli.

Le lobby dell’agricoltura convenzionale stanno strumentalizzando la crisi legata alla guerra?

SÌ: le associazioni agricole a livello europeo e nazionale stanno utilizzando le difficoltà collegate alla guerra in Ucraina, amplificandole. L’obiettivo è fare pressione sui decisori politici per cancellare o ridimensionare le norme ambientali della nuova Politica Agricola Comune (PAC) e gli obiettivi delle due Strategie UE del Green Deal, “Farm to Fork” e “Biodiversità 2030”. Queste due Strategie dell’Ue prevedono, entro il 2030, la riduzione del 50% dell’uso dei pesticidi e antibiotici, la riduzione del 20% dell’uso dei fertilizzanti chimici di sintesi, l’aumento fino al 25% – a livello europeo – della superficie agricola utilizzata (SAU) per l’agricoltura biologica e la creazione di aree destinate alla conservazione della natura nel 10% delle superfici agricole. Sono tutti obiettivi che impattano sugli interessi economici dell’agroindustria, legati alla produzione di pesticidi e concimi chimici, nonché alla produzione agricola intensiva in generale. Per questo motivo, le potenti lobby agricole hanno cercato di ostacolare queste Strategie europee fin dalla loro presentazione ufficiale, il 20 maggio 2020, riuscendo a condizionare la recente riforma della PAC che contiene, comunque, alcune novità importanti, tra cui l’obbligo delle rotazioni delle colture e l’obbligo di destinare alla conservazione della natura almeno il 4% delle superfici utilizzate per i seminativi, ma solo per le aziende che hanno una SAU superiore ai 10 ettari. La guerra in Ucraina ha offerto l’occasione per chiedere l’eliminazione di queste norme ambientali della PAC.

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