Tra conflitto e amore

Virginia Woolf e Vanessa Bell: il rapporto con il femminile nasce dalle sorelle (che le si abbia o meno)

È un legame tra i più intriganti e misteriosi, eppure è anche tra i meno indagati, un punto cieco nelle teorie sulla famiglia. Laura Pigozzi, psicoanalista da sempre attenta alle questioni familiari, nel saggio “Sorelle” (in libreria per Rizzoli) accende una luce e, attraverso casi clinici e letterari, di cronaca e cinematografici, ricostruisce uno spaccato unico della sorellanza. Le abbiamo chiesto di raccontarci il rapporto che legava la scrittrice alla pittrice

Di Laura Pigozzi*
15 Settembre 2021

Delle sorelle si parla poco e, a parte romanzi, film e serie tv, una riflessione sulla relazione tra sorelle era finora rimasta inedita. Eppure una sorella ci accompagna per la vita: anche se il legame si è reciso, lei resta in noi. Rappresenta il rapporto più lungo e significativo con il femminile, nostro e dell’altra, e fonda l’alleanza delle rete tra donne e di ogni patto femminile. Tuttavia finché non si esplicitano le potenzialità ancora inespresse di questo legame, continueremo a vedere collettivi che funzionano più sul rapporto madre-figlie che sui legami sororali, teoricamente più paritetici.

L’alleanza con una sorella nasce precocemente: la sua vista, come Lacan sottolinea, è già fonte di riconoscimento e preludio al patto sociale futuro. Ciò è di capitale importanza perché dimostra non solo che la forma dei legami sociali nasce in famiglia, ma che il legame con la sorella è originario, cioè non mediato dalla “presentazione” della sorellina che la madre offre alla figlia maggiore.

La funzione della sorella è anche quella di calmierare le pretese materne: se si ha una madre invadente, si può essere meno sole e meno esposte. La sorella aiuta a superare le inevitabili frustrazioni nella relazione con la madre, indipendentemente dal tipo di madre che si ha, sufficientemente o insufficientemente separata. Una sorella è già inscritta in ciascuna di noi: anche quando non c’è, la si ricerca nell’amica e i sogni delle figlie uniche sono popolati da sorelle. Il desiderio di intimità con lei nasce subito: se non lo si tradisce con la competizione per il possesso della madre, la sorella offre una figura di identificazione alternativa e più sottile.

La gara per la madre non è, infatti, inevitabile e può invece dare origine a una denigrazione, a un disprezzo, a una ostilità per la sorella. Essere competitive per la madre non serve a diventare donne. Dal canto suo, a una madre tocca fare un passo indietro di fronte alle discussioni tra le figlie: lasciandole fare, troveranno un punto di accordo, un loro equilibro tra tolleranza e desiderio.

Un eccesso di rivalità per la madre, così come un eccesso di intimità tra sorelle, può dar forma a uno dei nodi più oscuri e dolorosi del legame tra loro: quello della rivalità per un uomo, una situazione che spesso si ascolta nelle stanze d’analisi. Cosa c’è in gioco qui? Proviamo a raccontarlo rileggendo, con un occhio diverso, una storia conosciuta, quella di Virginia Woolf e di sua sorella Vanessa Bell.

Laura Pigozzi, psicoanalista, scrittrice © 2019 Giliola CHISTE

Le ragazze perdono la madre presto e si ripromettono di vivere insieme per sempre, secondo un copione non insolito in chi ha subito traumi famigliari, ma a 28 anni Vanessa decide di sposare Clive Bell, un vitale edonista, intelligente ma non un vero intellettuale e perciò, almeno all’inizio, poco apprezzato da Virginia che lo considerava culturalmente inferiore. In più Vanessa si sposa a lutto non ancora concluso per il fratello Thoby, sottolineando con ciò che la famiglia di origine non è più il suo centro: ciò risulta intollerabile a Virginia che comincia a sentirsi abbandonata. Erano finite le loro affettuose abitudini di baci sui capelli, sui lobi, sul collo e sulle braccia. Virginia amava Vanessa e si comportava come se sua sorella le appartenesse. Le indirizzava parole da amante tradita e ferita, era furiosa. Con il matrimonio Vanessa manifestava una bellezza in espansione, felice, carnale, soddisfatta. Virginia avrebbe voluto che Vanessa sposasse il loro comune amico del circolo di Bloomsbury, Lytton Strachey, che era omosessuale e con il quale il corpo di Vanessa sarebbe restato il corpo di sua sorella, quello conosciuto nelle notti in cui lei scivolava nel letto di Vanessa e non quello percorso da quell’eros maturo di cui l’amore di Clive l’adornava.

Fu quando Vanessa ebbe il primo figlio – e fu totalmente assorbita nelle cure materne – che Virginia cominciò a flirtare con il cognato a cui riconosceva un certo arguto carisma e che fu forse l’unico per cui Virginia avesse sentito quell’attrazione fisica che non avrebbe mai più provato per un uomo. Infatti, quando si sposò, a trent’anni, con Leonard Woolf, gli confessò candidamente di trovarlo fisicamente poco desiderabile. Per tre lunghi anni, che fecero soffrire terribilmente Vanessa, Virginia tenne Clive intellettualmente ammaliato. Eppure, nella seduzione di Virginia in gioco non c’era veramente il cognato, bensì la sorella: la mira di Virginia è sempre e solo la sorella. Non era innamorata di Clive, ma di Vanessa. Clive era un modo per restare, in un modo o nell’altro, nella vita di lei, occupandovi, in una maniera o nell’altra, lo spazio centrale. Non era Clive l’oggetto del desiderio di Virginia, ma Vanessa. Con lui, non si stava semplicemente vendicando della propria esclusione dalla sua esistenza dopo il matrimonio, Virginia era più complessa di così: in realtà il cognato era il modo di penetrare in Vanessa. Al netto delle inclinazioni omosessuali di Virginia, è questo il punto di scandalo, il tabù sotteso da ogni condivisione di questo tipo: come anche la clinica conferma, quando due sorelle si innamorano dello stesso uomo, il loro desiderio inconscio potrebbe non essere per l’uomo quanto per la sorella. È quello che ho chiamato incesto vicario: un’unione tra le due mediata da un corpo terzo.

Quando le relazioni tra sorelle sono così senza respiro, mimano l’attaccamento morboso alla madre e, come quello, generano una dipendenza mortifera. Il corpo di una sorella diventa il surrogato di quello della madre, quello con cui ristabilire l’unione primitiva. È per questo che occorre fin da subito sostenere il legame tra sorelle come asse orizzontale autonomo. Fondarsi sul legame originario tra sorelle, liberarlo dalla competizione per l’approvazione materna, aiuta a contenere l’ambivalenza tipica delle relazioni femminili e a celebrare il fatto che una sorella rappresenta un legame strutturale in ogni donna. Che lo si voglia o no, che la si abbia o meno.

*Psicoanalista impegnata a leggere le questioni che riguardano le famiglie, il femminile e la voce alla luce della teoria analitica lacaniana, ha pubblicato con Nottetempo “Mio figlio mi adora” (2016) e “Adolescenza zero” (2019). Con Rizzoli ha pubblicato nel 2020 “Troppa famiglia fa male”. Dal 14 settembre, sempre per Rizzoli, è in libreria con “Sorelle”

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