Call center

Almaviva, i lavoratori di Napoli cedono al taglio degli stipendi per non perdere il lavoro

Qualche giorno fa, un referendum interno ha dato disco verde con l'80% dei voti favorevoli al testo che prevede la rinuncia agli scatti di anzianità, la riduzione della base di calcolo del trattamento di fine rapporto e il controllo a distanza delle prestazioni. L'alternativa era il licenziamento come a Roma

28 Febbraio 2017

È il giorno del via libera all’accordo che ridurrà i salari dei lavoratori di Almaviva a Napoli, gli 845 salvati dal licenziamento lo scorso 22 dicembre. Oggi al ministero dello Sviluppo economico saranno presenti le rappresentanze sindacali unitarie partenopee assieme ai delegati aziendali per la firma definitiva. Qualche giorno fa, un referendum tra i lavoratori ha dato disco verde al testo con l’80% dei voti favorevoli, ma l’esito della consultazione era del tutto scontato: l’alternativa consisteva nel perdere il lavoro, come già successo ai 1.666 colleghi della sede di Roma.

Gli addetti al call center campano hanno preferito ingoiare la medicina amara, confezionata il 16 febbraio assieme a Unindustria, che prevede la rinuncia agli scatti di anzianità, la riduzione della base di calcolo del trattamento di fine rapporto (tfr) e il controllo a distanza delle prestazioni (che, almeno sulla carta, non potrà in nessun caso costituire causa di licenziamento individuale). In pratica, il famoso piano di risanamento posto da Almaviva come condizione imprescindibile per evitare i licenziamenti. A pagarlo saranno i lavoratori attraverso dei sacrifici economici che peseranno su stipendi in molti dei casi part time, quindi già bassi per contratto.

Si tratta, per quanto riguarda gli scatti di anzianità, di una grossa forzatura al contratto nazionale delle telecomunicazioni, firmato il primo febbraio del 2013. A farlo notare è un intervento sul bollettino Adapt, associazione di giuslavoristi fondata da Marco Biagi. Veniamo al punto: il contratto collettivo della categoria e la legge 148 del 2011 elencano in maniera chiara e tassativa quali sono le materie che, a livello aziendale, possono essere derogate “al fine – si legge – di sostenere o migliorare la competitività dell’impresa e la sua occupazione”. Tali materie sono “la gestione della prestazione lavorativa e delle relative indennità, l’organizzazione del lavoro e l’articolazione degli orari”.

Nessun riferimento, insomma, agli scatti di anzianità che invece sono toccati dall’accordo di Almaviva. Tra l’altro – si fa notare nell’intervento dell’Adapt – le deroghe ai contratti, secondo un’interpretazione rigorosa, dovrebbero essere sottoscritte anche dalle federazioni di settore, mentre in questo caso portano la firma delle sole rsu. Il sindacato delle telecomunicazioni della Cgil ha infatti criticato l’intesa aziendale per il salvataggio di Napoli, proprio per il fatto che sconfina dalla cornice del contratto nazionale.

La tensione, insomma, è ancora alta. Stamattina, nei pressi del ministero dello Sviluppo economico, ci sarà un presidio della Cgil laziale. Il governo e la Regione Lazio hanno messo in piedi un piano di reinserimento dei 1.666 licenziati di Roma che prevede incentivi all’assunzione da 8mila euro l’uno e sostegno alla formazione e alla ricollocazione per un totale di 15mila euro per lavoratore.

I sindacati però chiedono ancora il ritiro dei licenziamenti, tuttavia già avvenuti, e si aspettano che l’esecutivo chiarisca il ruolo avuto nell’ingresso di una società in mano a Cassa depositi e prestiti nel capitale di Almaviva do Brasil. A marzo 2016, infatti, la Simest – finanziaria di Cdp – ha acquisito quote societarie della controllata sudamericana per sette milioni di euro, garantendo anche una copertura assicurativa da tre milioni. Nello stesso periodo, si ricorderà, governo e sindacati erano al lavoro per scongiurare i tremila licenziamenti annunciati da Almaviva a Roma, Napoli e Palermo. Gli allontanamenti furono revocati a fine maggio, ma solo tre mesi dopo il colosso dei call center ha avviato una nuova procedura di mobilità terminata con la chiusura di Roma e l’accordo “capestro” di Napoli.

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