PANATTA, MATCH BALL

L’uomo della Davis si racconta: “Io, idealista senza tempo in un Paese di invidiosi”

8 Luglio 2010

Parigi 1976. Roland Garros. É da poco passata l’una, escono dagli spogliatoi. Percorrono il tunnel in silenzio. Panatta è alto, biondo, elegante. Sicuro di sé. Solomon piccolo, scuro e con due enormi gambe allenate. Adriano si ferma, lo chiama davanti allo specchio. Gli mette una mano sulla spalla, indica nella parete la loro immagine riflessa: […]

Per continuare a leggere questo articolo
Abbonati a Il Fatto Quotidiano

Abbonati a 15,99€ / mese

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.