Giochi, le responsabilità dello Stato sul boom delle scommesse

15 Ottobre 2017

“Gioco d’azzardo, raccolta su del 177%. Nel 2016 puntate per oltre 96 miliardi. Ogni italiano ci rimette 385 euro l’anno”
Chiara Brusini. Il Fatto Quotidiano.it

Andate a leggere, vi prego, tutti i numeri di una gigantesca tragedia sociale che consente allo Stato biscazziere di incamerare 10,5 miliardi di euro, quasi il doppio rispetto a dieci anni fa. È tutto scritto in un rapporto dell’Agenzia dei Monopoli che potrebbe essere intitolato: ecco le cifre della vergogna, pagine nere che resterebbero al riparo dal giudizio della pubblica opinione se non ci fossero dei bravi giornalisti a tirarle fuori. Andatevi a rileggere le inchieste dell’Avvenire sull’estendersi della ludopatia, devastante morbo sociale per la cui cura, nella più somma ipocrisia, quello stesso Stato biscazziere elemosina qualche briciola caduta dalla torta avvelenata.

Non è un caso che sia il giornale della Chiesa cattolica maggiormente a contatto con le famiglie a descrivere la portata di un disastro originato da crisi economica, disoccupazione, abbandono. E dalla illusione che un colpo di fortuna possa cambiare le cose indebitandosi con l’acquisto compulsivo di Gratta e vinci o buttandosi via in qualche bar smanettando slot machine. Non conosciamo le cifre dello strozzinaggio a cui s’impiccano le vittime dell’azzardo ma possiamo immaginarle.

Non è un segreto che gli introiti delle società che gestiscono, in giacca e cravatta, le scommesse ‘on line’ hanno assunto una dimensione tale da rappresentare forse la fetta più rilevante di quella raccolta pubblicitaria che a sua volta si ripartisce su tv, internet e carta stampata. È difficile parlare male di chi ti finanzia, e infatti… Ancora più complicato quando gli spot delle scommesse mandate in onda un attimo prima delle dirette del calcio ci appaiono come delle allegre vetrine sbrilluccicanti, innocenti evasioni nel paese dei balocchi. Gratis. Purtroppo non è così. Per questo ci permettiamo di chiedere ai bravi attori e ai grandi personaggi dello sport che offrono la propria immagine alla propaganda del gioco di premere sulle società committenti affinché la frase sbiascicata a velocità della luce al termine degli spot possa essere finalmente spiegata e documentata in modo chiaro e accessibile a tutti. Questa: “Il gioco è vietato ai minori e può causare dipendenza patologica”. Sono soltanto undici parole ma ciascuna di esse contiene mille storie di vite rovinate.

Forse chiediamo l’impossibile ma ugualmente ci domandiamo se sia possibile continuare a lucrare sulla altrui infelicità come se nulla fosse.

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