Meloni si prende la Rai e caccia per decreto i vertici Inps e Inail

Repulisti. Il testo “omnibus” fa fuori Tridico e approva il trucco per liberare il posto di Fuortes nella tv di Stato. La Lega: “Mezzucci”

La fame di posti di potere genera spesso mostri legislativi. E quello partorito ieri dal Consiglio di ministri ha pochi precedenti: un decreto striminzito – dieci articoli, dieci paginette – messo in piedi con il solo scopo di cacciare l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, e il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Il tutto in beffa […]

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La fame di posti di potere genera spesso mostri legislativi. E quello partorito ieri dal Consiglio di ministri ha pochi precedenti: un decreto striminzito – dieci articoli, dieci paginette – messo in piedi con il solo scopo di cacciare l’amministratore delegato della Rai, Carlo Fuortes, e il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. Il tutto in beffa al Quirinale, che in febbraio, promulgando il Milleproroghe, aveva chiesto di smetterla con “decreti omnibus” che vanificano i requisiti richiesti per questi provvedimenti (necessità, urgenza e uniformità). Meloni e compagnia se ne sono fregati partorendo uno strano ircocervo tra proroghe legislative e perfino una norma sulle foibe. Se il “cavillo” per cacciare Fuortes era noto (ci torniamo più avanti), la novità di ieri riguarda il ricambio ai vertici di Inps e Inail, peraltro approvato in un Cdm in cui la ministra del Lavoro, Marina Calderone, era assente perché impegnata in una riunione a Bruxelles e di cui il Colle pare fosse all’oscuro.

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Il testo (art. 1) modifica la legge che regola i due enti con una riforma dell’organizzazione di pura facciata. Piccole modifiche sulle figure di vertice che permettono però di stabilire che nelle sue more “e comunque fino alla nomina dei nuovi vertici” Inps e Inail vengono commissariate entro dieci giorni dall’entrata in vigore. I commissari saranno nominati su indicazione del governo e nominati dal presidente della Repubblica. Oltre a Franco Bettoni dall’Inail (scelto nel 2019) decade anche Tridico, economista vicino ai 5 Stelle indicato dal governo Conte e tra i padri del Reddito di cittadinanza e per questo bersaglio della destra fin dalla sua nomina. La norma, peraltro, impone per legge anche la decadenza dei direttori generali dei due enti, per evitare che rimangano ai vertici figure nominate dai presidenti decaduti. Il governo avrebbe voluto subito un ricambio all’Inps, ma Tridico era forte di un parere dell’Avvocatura dello Stato che lo blindava fino a maggio 2024. Ora l’esecutivo può prendersi l’Inps e si capisce meglio come mai ad aprile, nel decreto Pnrr, abbia previsto la possibilità di nominare (e stipendiare) ai vertici di questi enti pensionati in deroga alla legge. Tra i papabili a sostituire Tridico figurano infatti la segretaria generale del ministero del Lavoro, Concetta Ferrari, fedelissima di Calderone e vicina all’età pensionabile, e l’esperto di previdenza (caro alla Lega) Alberto Brambilla, che a 73 anni è già in pensione.

Come detto, l’altro blitz che riesce a Meloni, superando l’ostruzionismo leghista, è sulla Rai. Il decreto fissa infatti a 70 anni l’età per guidare fondazioni ed enti lirici provocando la decadenza immediata di Stéphan Lissner dalla guida del Teatro San Carlo di Napoli, lasciando campo libero alla nomina di Fuortes da parte del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. Un iter che dovrebbe chiudersi in un paio di settimane (Lissner ha già annunciato ricorso). Una triangolazione che ha il solo obiettivo di far sloggiare l’attuale amministratore delegato e sostituirlo con uno più gradito a Palazzo Chigi. Ovvero il direttore di Radio Rai, Roberto Sergio, un ex Dc assai trasversale nel centrodestra, che già da settimane riceve persone e fa colloqui. Una volta insediato, Sergio procederà alla nomina di un Dg, Giampaolo Rossi, gran visir della destra meloniana in Rai, con interlocuzioni importanti anche a sinistra e tra i 5 Stelle. Da lì partirà l’infornata di nuovi direttori e poi sotto con i palinsesti, con la presentazione già slittata a luglio.

Intanto, contro la leggina pro-Fuortes si scagliano le opposizioni. Ora in Cda il voto del pentastellato Alessandro Di Majo sarà più che mai determinante, tanto che qualcuno già parla di asse destra-M5S sulle nomine. Critica, fin dall’inizio, anche la Lega. “Ne escono male tutti. Fuortes, che avrebbe dovuto rimettere il mandato col cambio di governo, e Palazzo Chigi, che non avrebbe dovuto ricorrere a questi mezzucci per mandarlo via”, sussurra Stefano Candiani.

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