Marco Revelli: “Sciopero sacrosanto, Cgil e Uil fanno bene: la politica è su Marte”

“Questo sciopero generale è pienamente giustificato”. Marco Revelli non ha dubbi, il problema semmai è un altro: “Arriva tardi. I buoi sono scappati dalla stalla da molto tempo. Sarebbe stato necessario uno sciopero generale all’anno negli ultimi due decenni, per contrastare la deriva del mondo del lavoro”. L’opinione pubblica l’ha accolto come una provocazione, uno […]

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“Questo sciopero generale è pienamente giustificato”. Marco Revelli non ha dubbi, il problema semmai è un altro: “Arriva tardi. I buoi sono scappati dalla stalla da molto tempo. Sarebbe stato necessario uno sciopero generale all’anno negli ultimi due decenni, per contrastare la deriva del mondo del lavoro”.

L’opinione pubblica l’ha accolto come una provocazione, uno schiaffo, un insulto all’unanimismo dell’Italia draghiana e un ostacolo alla favolosa ripresa economica.

Il dibattito aperto tra le forze politiche e buona parte degli opinion leader è surreale. Leggo titoli di giornale del tipo “L’ira del premier”, come se Draghi fosse un nume irato. La scelta dei sindacati è fisiologica, lo sciopero è un fatto di normalità democratica, in presenza di una manovra che colpisce la parte inferiore della piramide sociale.

I lavoratori o i pensionati?

Entrambi. Quel pezzo di Paese che sta peggio viene sacrificato a chi sta in alto. Come se fossimo rimbalzati indietro di un secolo.

È una questione anche di metodo, sostiene Landini: tutto deciso in una stanza senza ascoltare le parti sociali. Così si uccide quel che resta della rappresentanza del lavoro?

È il metodo Draghi, tanto apprezzato dai “decisionisti” di parte. Lo applica allo stesso modo nei confronti del Parlamento e delle forze sociali. Poi c’è una questione di merito grande come una casa. Ci si aspettavano scelte che almeno in parte riequilibrassero il rapporto tra impresa e lavoro, non il contrario.

Quali sono le misure che ritiene più offensive?

Dalla rimodulazione delle aliquote Irpef che funzionano al rovescio rispetto a qualsiasi fiscalità progressiva, alla controriforma che ci regala l’età pensionabile più alta d’Europa, forse del mondo. Cecoslovacchi, austriaci, coreani: vanno tutti in pensione prima degli italiani. Siamo due anni al di sopra della media europea. Le nuove generazioni accederanno alla pensione a 71 anni. È una condizione medievale. Intanto, secondo il Censis, l’Italia è l’unico paese Ocse che negli ultimi 30 anni ha visto diminuire il livello dei salari, del 2,9%. Di cosa parliamo? Di un paese che ha una base sociale ridotta agli stracci.

Il Pd non si capacita. Letta è “sorpreso” dallo sciopero. Il ministro Orlando pure è “stupito”.

Sono reazioni grottesche. Il distacco tra paese reale e paese legale è arrivato a punti da teatro dell’assurdo. Il ministro del Lavoro di un partito che si definisce di sinistra non ha consapevolezza dello stato miserevole in cui si trovano parti consistenti di mondo del lavoro. Ma dove vive? Sembra sbarcato da Marte.

Orlando rivendica: “5 miliardi di investimenti sugli ammortizzatori sociali, un investimento importante sulla non autosufficienza, l’indicizzazione delle pensioni, un fondo per la parità salariale uomini-donne, una distribuzione fiscale che avvantaggia i lavoratori dipendenti”.

Sugli ammortizzatori sociali bisognava intervenire prima che fosse tolto il blocco dei licenziamenti, sono passati cinque mesi. Esibiscono due numeri, ma sotto non c’è nulla. Ciascuno si arrampica sugli specchi che predilige.

I Cinque Stelle sembrano dissociati, prima approvano la manovra, poi Conte dice che “bisogna ascoltare i sindacati”.

Stendiamo un velo pietoso, hanno smarrito la loro identità.

La sfida dello sciopero è rischiosa, soprattutto nel contesto ostile che lei ha raccontato. Se dovesse fallire sarebbe un colpo letale per i sindacati?

Supposto che arrivino fino in fondo, è una decisione giusta ma tardiva. Questo popolo messo in condizioni di deprivazione e di disagio sociale rischia davvero di perdere la bussola. Le manifestazioni che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, le piazze “sporche” dei no vax, attraversate da ventate di irrazionalità e superstizione, sono il prodotto di un malessere profondo di cui i portatori non sono in grado di identificare le responsabilità. È già successo nella storia, come negli anni 30, che di fronte alla caduta di ogni speranza di riscatto i ceti popolari si rifugiassero in comportamenti irrazionali o reazionari. Se dovessero fallire i sindacati, non si aprirebbero le porte alla “pace sociale” che auspica il leader di Confindustria Carlo Bonomi. Si aprirebbero le porte a manifestazioni di conflittualità irrazionale.