Spy story - Il plico anonimo e l’uomo terrorizzato

Eni, due dossier identici in procura per fare partire le indagini sul presunto complotto

Così è nata l’inchiesta dei pm siciliani sul tentativo anti-Descalzi

30 Giugno 2016

Prima di Siracusa vi fu Trani. Ma chi inviò alla Procura pugliese quel plico anonimo che conteneva gli audio dello sconosciuto signor Massimo Gaboardi, tecnico del settore petrolifero, impegnato a chiacchierare di un presunto complotto contro l’ad di Eni, Claudio Descalzi? Trattandosi di plico anonimo, la risposta è (quasi) impossibile. Però il dato è già sufficiente a raccontare l’inizio dell’inchiesta, che non solo oggi vede Gaboardi indagato per concorso in corruzione internazionale, ai danni di Descalzi, ma ipotizza persino trame contro il premier Renzi. E già, perché il plico anonimo dimostra un fatto: l’indagine non nasce da un’iniziativa investigativa dei pm di Trani, ma dall’iniziativa di qualcun altro – chiamiamolo il signor x – che invia alla procura guidata da Carlo Maria Capristo un pacchetto bene infiocchettato.

Dentro c’è la voce di un tal Gaboardi intento a complottare. Ma c’è di più: qualcuno – un presunto amico o complice – avrà tradito Gaboardi, registrando la conversazione sul presunto complotto, e consentendo il suo recapito in procura. È il secondo punto oscuro della storia: forse il signor x non doveva esser poi così estraneo alla vicenda. Il sospetto qui si fa certezza: il recapito del plico anonimo risponde a un preciso disegno. E perché si realizzi è necessario indagare. Il signor x mette la procura di Trani nelle condizioni di farlo. È vero che raramente, da un plico anonimo, scaturisce un fascicolo con annessa perquisizione, ma la procura guidata da Capristo, convinta della bontà dell’indizio, fa il suo dovere e insegue la pista investigativa. Bingo. Gaboardi ha confezionato un dossier nei minimi dettagli, ove il complotto non solo viene raccontato ma persino documentato.

Nomi, cognomi, fotografie d’incontri. Al signor x non poteva andar meglio: al nastro si aggiunge il dossier, l’indizio sembra lievitare in un barlume di prova, l’idea del complotto si fa largo. Se il signor x non fosse anonimo, la storia sarebbe diversa, invece si presta alle peggiori ipotesi: servizi segreti deviati italiani o stranieri? Faccendieri di chissà quale risma? Cricche interne all’Eni? Il Fatto Quotidiano ha chiesto a Gaboardi di fornire la sua versione: “È vero – dice – quel dossier l’ho scritto io e nei fatti mi sono accusato dinanzi ai pm”. Ma perché ha scritto quel documento? Che necessità aveva? Temeva di dimenticare come realizzare il complotto? “Su questo non posso rispondere”.

Di certo, non si può escludere che il dossier fosse destinato a qualcuno. Gaboardi non lo immaginava, ma è finito in procura. Di certo c’è solo un punto: ora che è parte di un’indagine, quel dossier diventa un documento che, considerati nomi ed eventi, vero o falso che sia, rischia di essere deflagrante per qualcuno e utile per qualcun altro. Nel frattempo la procura di Trani chiede l’acquisizione dei verbali del cda di Eni, per verificare se il contenuto di alcune mail – il più delle volte anonime e scoperte durante le perquisizioni – abbia prodotto, in seno al cda di Eni, il risultato di mettere in difficoltà Descalzi. Ma c’è un altro punto: dal dossier in questione emerge che gran parte delle presunte condotte delittuose sono avvenute a Siracusa. E così la procura di Trani trasferisce il fascicolo – registrazioni ambientali, email anonime, verbali del cda di Eni e il dossier sul complotto – ai colleghi siciliani.

E qui scopriamo il secondo colpo di scena. Nella procura di Siracusa, quel dossier, ce l’avevano già. A consegnarlo in cancelleria, però, non era stato il postino, ma un conoscente di Gaboardi terribilmente spaventato: teme il sequestro della sua persona, o peggio la morte. Chi lo minaccia? Uomini nigeriani e italiani. E perché? Perché è in possesso del dossier sul complotto. Lo deposita sulla scrivania dei pm siracusani. Questa volta c’è una denuncia firmata. E indagare è d’obbligo.

Mesi dopo, da Trani, giunge il fascicolo nato dall’anonimo; i pm di Siracusa confrontano i due dossier: sono identici. Gaboardi nel frattempo viene indagato per aver “posto in essere, in concorso con pubblici ufficiali italiani e nigeriani un complesso di attività fraudolente finalizzate a tentare di condizionare le scelte del governo italiano nell’indicazione dell’ad di Eni e a diffondere notizie false sui vertici dell’Eni con l’obiettivo di delegittimarne l’operato. Reato commesso in Siracusa in data antecedente e prossima al 1° luglio 2014”. Che il complotto mirasse a colpire Descalzi nell’indagine milanese dove, in effetti, si ritrova indagato anche per le deposizioni in procura dell’ex manager Eni Vincenzo Armanna? Peraltro anche Armanna, non sappiamo a quale titolo, è citato da Gaboardi.

Resta il fatto che le condotte sulle quali indaga Siracusa riguardano Descalzi dopo la sua nomina. Quelle del processo di Milano, invece, riguardano il periodo antecedente. Non solo. Il dossier pervenuto in ben due procure, e l’interrogatorio di Gaboardi, delinea lo scenario di un ulteriore complotto, questa volta ai danni di Renzi, se non avesse smesso di sostenere Descalzi. Gaboardi cita il cerchio magico: il sottosegretario Luca Lotti, Marco Carrai, Andrea Bacci, come destinatari di presunte pressioni per far fuori Descalzi. Bacci, sentito dalla procura siciliana, ha già confermato l’intervento di un facoltoso uomo d’affari iraniano che sponsorizzava, al posto di Descalzi, il manager Eni Umberto Vergine. Ma perché mai, per decidere la nomina dell’ad di Eni, quest’uomo si rivolge a Bacci, che non ha alcun titolo per discuterne? La procura di Siracusa continua a indagare per verificare se il reato esiste o se non siamo dinanzi, invece, a un’inquietante montatura.

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