Siena - I fazzoletti insanguinati “cestinati” dalla Procura - Il libro

Mps, la morte di David Rossi: mistero delle prove distrutte

10 Ottobre 2017

Il 6 marzo 2013, dopo aver avvisato la moglie che stava rientrando a casa, David Rossi, capo della comunicazione di Mps e da dieci anni braccio destro di Giuseppe Mussari, viene trovato morto nel vicolo sotto il suo ufficio. Per i magistrati di Siena titolari del fascicolo, Nicola Marini e l’aggiunto Aldo Natalini, è sin da subito un suicidio. Due anni dopo una nuova inchiesta avviata dal pm Andrea Boni ha portato alla luce le falle, le carenze della prima indagine con atti criticati anche dai periti nominati dalla Procura. Il libro “Il caso David Rossi, il suicidio imperfetto” (in libreria da giovedì 12 ottobre per Chiarelettere) ricostruisce l’intera vicenda proprio attraverso le carte delle inchieste per scoprire che il suicidio ipotizzato dai magistrati non è l’unico scenario possibile. Pubblichiamo un breve stralcio del testo relativo a uno dei numerosi errori commessi nel corso della prima fase delle indagini.

Nel giugno 2013, ad appena tre mesi dalla morte di Rossi, gli inquirenti sono certi di avere tutti i riscontri necessari per affermare senza ombra di dubbio che si tratti di un suicidio. Per carità, l’avevano capito già la notte del 6 marzo del resto, già guardando il cadavere riverso al suolo. Tanto che ritenevano superflua anche l’autopsia.

Con tutto quello che succede nelle mura di Mps e le conseguenze pesanti che si ripercuotono all’esterno – le inchieste che coinvolgono gli ex vertici, i miliardi di euro dilapidati, centinaia di lavoratori licenziati, squadra di calcio e di basket fallite, università, comune e decine di enti lasciati senza finanziamenti –; insomma, con tutto quello che ha preso avvio da Mps senza che si riescano a individuare i responsabili né prove sufficienti a incastrarli per il tracollo finanziario della banca più antica del mondo; con la cappa di riservatezza e segreti nascosti all’interno di Rocca Salimbeni: come non pensare che il manager legato al potentissimo Mussari e con ogni probabilità custode di molti segreti sia stato eliminato o spinto a uccidersi? Che domande. Questa è una tesi da romanzo giallo. A Siena, nella realtà, un uomo ricco, potente, noto e ritenuto custode di informazioni riservate, si uccide lanciandosi dalla finestra dell’ufficio pochi minuti dopo aver detto alla moglie che stava rientrando a casa. Ovvio. Forse.

Sicuramente ovvio lo è per i magistrati. (…) Appena inizia la sospensione feriale depositano la richiesta di archiviazione. Per «feriale» s’intende il periodo di pausa che per legge considera i tribunali sostanzialmente «chiusi»: dal primo agosto al 15 settembre. Si tratta di una sospensione pensata con una ratio garantista nei confronti delle parti, in applicazione del più generale diritto di difesa. Ad agosto, si sa, ci sono le vacanze. Anche i senesi, come tutti, si allontanano dalla città, dalle loro abitazioni e dalla quotidianità. Proprio a tutela dei cittadini quindi, visto che i termini per presentare ricorso sono strettissimi – appena dieci giorni –, durante il mese di agosto questi vengono temporaneamente sospesi e decorrono tutti a partire dal 15 settembre successivo. Lo dice la legge. E così è nel 2013. I magistrati, sicuri che il caso Rossi sia un suicidio, chiedono l’archiviazione proprio il 2 agosto 2013. (…)

Ma in quel periodo di vacanza avviene una cosa ben più grave: senza che le parti vengano avvisate, il 14 agosto Natalini dispone la distruzione dei reperti trovati nell’ufficio di Rossi, compresi sette fazzoletti di carta sporchi di sangue. Fazzoletti già repertati con estremo ritardo solamente il 14 giugno, seppur sequestrati il 7 marzo, ma soprattutto mai analizzati né presi in considerazione nel corso delle indagini. Non si sa ad esempio se il sangue sia del gruppo sanguigno di David o appartenga a qualcun altro, magari a un ipotetico aggressore. Si sarebbe potuti risalire comodamente anche al Dna, attraverso quei reperti: erano ben sette.

I legali dei famigliari di David, ricorrendo contro l’archiviazione, avrebbero potuto chiedere che venissero sottoposti a esami specifici: oltre al gruppo sanguigno e al Dna, si sarebbe potuto verificare anche quale tipo di ferita avessero tamponato; la forma della macchia di liquido ematico impressa sui fazzoletti avrebbe potuto svelare molto. Qualsiasi esame aggiuntivo avrebbe fugato ogni futuro dubbio. Anche per la procura quei fazzoletti avrebbero potuto rappresentare un elemento fondamentale: il sangue poteva essere di David e le macchie potevano coincidere con le ferite che il manager aveva al polso. Ma non è stato possibile analizzarli. Perché i fazzoletti vengono decretati come da distruggere il 14 agosto (…) ed eliminati da «Ambrogio Antonini, funzionario giudiziario, e Alessandro Troiani, conducente automezzi» si legge nel verbale. Dei reperti fondamentali vengono così distrutti senza neanche metterne a conoscenza i famigliari. Distrutti senza attendere non solo il decorso dei termini per far presentare alla difesa un’eventuale opposizione alla richiesta d’archiviazione, ma neanche l’esaurirsi della feriale. Si scoprirà solo anni dopo”.

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