Negli ultimi mesi abbiamo assistito a una sfida linguistica, dai toni anche molto accesi, che si è consumata su siti, social network e pagine di giornale: da un lato i “puristi”, che “difendono” la nostra lingua dai nuovi simboli come lo schwa (ə), dall’altro coloro che si battono per un italiano più inclusivo, che tenga conto dei cambiamenti sociali in atto da tempo. Tra coloro secondo i quali, per esempio, l’uso del maschile plurale non soltanto discrimina le donne, ma non tiene conto di tutte le persone con identità sessuale non definita, c’è la linguista Vera Gheno, che è stata già interlocutrice di A Parole Nostre. Oggi torniamo a ospitarla, pubblicando un estratto dal suo saggio contenuto nel volume “Altri orizzonti. Camminare, conoscere, scoprire”, in uscita il 19 aprile per Utet nella serie Dialoghi di Pistoia. Gheno ci spiega perché ogni persona dovrebbe riflettere su come si esprime, ma anche su come si esprimono gli altri, e che le parole sono la via maestra da percorrere per avere una società più equa.
Parole che tornano, apparentemente benevole, e che sono al centro del lavoro di due studiosi americani sulle microaggressioni: spesso non ci facciamo caso, ma frasi del tipo “come mai una bella donna come te a 40 anni non è ancora sposata?” nascondono una forma di sessismo che, sostiene lo psichiatra Vittorio Lingiardi intervistato da Elisabetta Ambrosi, “contiene un pregiudizio e cancella a gamba tesa la storia di una persona”.
Come si fa, allora, a combattere gli stereotipi di genere, palesi o velati che siano? Salvatore Basile, sceneggiatore – tra le altre – della serie “Don Matteo”, ha appena dato alle stampe “Cinquecento catenelle d’oro”, un romanzo in cui affronta la storia di una giovane di fine ‘800, resa libera dallo studio. E, in un articolo scritto per noi, sostiene che lo strumento per estirpare il patriarcato è la cultura. Attraverso la lettura, e quindi l’immaginazione, e più in generale attraverso l’arte, si può formare una nuova società che faccia uscire le donne dall’angusto recinto di obbedienza a loro riservato.
Obbedienza e soprusi che si ritrovano nel crudo, intenso e a tratti sconvolgente romanzo di Amy Jo Burns, “La figlia del predicatore”, che narra la storia di tre donne e di una comunità antica, eppure eterna. Come le verità che trasmette. Giuseppe Cesaro l’ha letto per noi.
Torna, infine, il consueto appuntamento con la matita irriverente di Amalia Caratozzolo, questo mese alle prese con il mito del narcisista Ulisse e della sua “sposa perfetta” Penelope, che lo attende illibata per 20 anni mentre lui non si perde un’avance in giro per il Mediterraneo. Non sarebbe ora di ribaltare il racconto?
Buona lettura.
A cura di Silvia D’Onghia
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