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Un'Africa ricca e (quasi) felice

Anche se il Botswana è discretamente felice. Seicentomila chilometri quadrati, che vuol dire due Italie, di molta sabbia (il deserto del Kalahari), foreste, savane e solo un paio di città degne di questo nome. Ma con una grande fortuna: i diamanti. Anzi, uno dei più grandi giacimenti di diamanti del mondo. Scoperto, per beffa degli inglesi, giusto un anno dopo la dichiarazioni di indipendenza dalla Corona, nel 1966. Fino ad allora il Paese era stato un protettorato britannico e gli inglesi non ci avevano ricavato granché da uno dei Paesi più poveri d’Africa. Così non erano state piante troppe lacrime nella Camera dei Lord davanti alla “perdita” di una delle ultima colonie, anzi. E forse non tutti nel povero Bechuanaland, così si chiamava il Botswana inglese, erano d’accordo nell’abbandonare mamma Inghilterra. Ma, si sa, le ansie di indipendenza sono forti, costi quel che costi. Poi il colpo di fortuna, i diamanti vicino al villaggio di Orapa. Subito un’esplosione demografica, il Pil che va alle stelle, crescita economica stratosferica e il Botswana che diventa un esempio di gestione “aziendale” per tutto il continente. Per forza, con tutti quei soldi. La De Beers, il colosso mondiale dei diamanti, si associa con lo Stato e l’ex povero Botswana balza nella classifica dei Paesi più ricchi del globo. La Svizzera d’Africa, come si dice, anche se non tutti gli svizzeri sono banchieri. E non tutti i botswani possiedono una miniera di diamanti.

L’ex povero Botswana balza nella classifica dei Paesi più ricchi del globo. La Svizzera d’Africa.

L’altra ricchezza sono i parchi. Quasi il 20% del territorio protetto da riserve rigorose, almeno all’apparenza, punteggiato dai lodges stile british di alto livello, perché noblesse oblige, zeppi di viaggiatori-turisti in cerca dell’Africa da film. Che qui si trova più bella e intoccata che altrove. Perché è relativamente da poco che il Botswana si è organizzato turisticamente e lo ha fatto puntando a un turismo di alto livello.

Noi abbiamo vagato intorno al Savuti Channel, distretto del Linyanti, parco nazionale del Chobe nel nord del Paese: 10.689 kmq di antica purezza. Il Savuti è il canale che collega il fiume Linyanti all’area del Savuti Marsh, una specie di grande stagno all’interno del parco, quel che resta di un lago preistorico oggi alimentato dal canale, secco o gonfio a seconda della stagione. Nel 2009 una portata eccezionale del Linyanti ha gonfiato a dismisura il canale e ha spinto una grande quantità d’acqua nella “marsh area”, cambiando un po’ di abitudini tra gli animali. Non è il più grande ma sicuramente il parco più rinomato del Botswana per varietà di vegetazione e fauna. È una pianura alluvionale con tutto quel che si spera di vedere in un safari africano. Nel suo ultimo tratto, il Linyanti, prima di confluire nello Zambesi, si chiama Chobe, da qui il nome del parco nazionale. Nel Chobe Waterfront, nella zona nord, oltre ai consueti “game drive”, i safari a bordo dei fuoristrada, si va in barca a “caccia” di animali da avvistare sulle rive del fiume. Non è difficile incontrare branchi di elefanti che attraversano il fiume a nuoto per finire nella Caprivi Strip, in Namibia. Senza neppure mostrare il passaporto.

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Sarà anche un set cinematografico, questo, ma è di una bellezza autentica. Il resto è la stessa natura del secolo scorso e di mille anni fa. Capita che sei in una radura tra gli alberi in una pausa del safari con i “portatori” che preparano un tavolo da pic-nic per il tè del pomeriggio (insomma si fa come gli inglesi), senti un rumore sordo e subito dopo la radura viene sfiorata da trenta, quaranta elefanti diretti chissà dove, con il solito giovane maschio che si ferma incuriosito. Vai con la Land e dietro una curva, nella boscaglia, intravedi un’enorme massa scura, immobile, solitamente un vecchio maschio solitario dalle zanne inquietanti e gli occhi spiritati. Capita che spaventi un leopardo che stava facendo la siesta all’ombra di un boschetto, capita che disturbi il pascolo di una famiglia di buffi facoceri e li vedi scappare con la coda rigorosamente ritta, tutti in fila, i grandi davanti, i piccoli dietro. Capita di veder atterrare con una manovra da manuale una coppia di avvoltoi grandi come un deltaplano sui resti di un banchetto notturno, probabilmente di iene. Capita di avere la sensazione di essere osservato, guardi un po’ verso il cielo e vedi tre giraffe, alte come un carrello elevatore dell’Enel a dieci metri, capita che ti trovi circondati da una mandria di zebre. E, sempre, questi panorami che ti avvolgono silenziosi.

Un’Africa ricca e (quasi) felice