Traffici illegali,
opere d’arte e oro nero

di Gianni Rosini



Traffici illegali,
opere d’arte e oro nero

di Gianni Rosini

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Il controllo del territorio permette alle bandiere nere di sfruttare e contrabbandare anche quei beni che la regione offre. Petrolio e opere d’arte sono la principale risorsa del cosiddetto “Siraq” e gli uomini di al-Baghdadi ne hanno fatto da subito una delle voci principali dei propri guadagni. Così, Isis riesce a mettere in cassa centinaia di milioni di dollari grazie ai traffici illegali.

500 milioni di dollari dal petrolio

Una prima stima del Dipartimento del Tesoro americano fissava a circa 400 milioni di dollari gli incassi annuali dello Stato Islamico dalla produzione e vendita del petrolio e dei suoi derivati. Alla Casa Bianca pensavano che, dopo la massiccia campagna di bombardamenti aerei contro centrali e raffinerie dello Stato Islamico, i guadagni dal traffico di greggio fossero diminuiti.

nonostante i bombardamenti, i proventi dal contrabbando di petrolio degli uomini in nero rimangono intorno ai 500 milioni di dollari all’anno

Quando però, dopo un’operazione delle forze speciali statunitensi che ha portato all’uccisione del “Ministro del Petrolio” di Isis, Abu Sayyaf, i militari sono entrati in possesso del suo libro mastro, le previsioni sono state smentite: nonostante i bombardamenti, i proventi dal contrabbando di petrolio degli uomini in nero rimangono intorno ai 500 milioni di dollari all’anno.

Il prezzo di un barile commerciato da Daesh oscilla tra i 20 e i 35 dollari, ma i fusti venduti quotidianamente dai jihadsti sono circa 50 mila

Il prezzo di un barile commerciato da Daesh oscilla tra i 20 e i 35 dollari, ma i fusti venduti quotidianamente dai jihadsti sono circa 50 mila. A queste cifre devono essere aggiunte quelle relative alle strutture estrattive improvvisate e le raffinerie mobili. Nelle aree dove la pressione all’interno delle falde è così forte da non richiedere l’uso di macchinari particolarmente sofisticati, agli uomini di al-Baghdadi basta usare tecniche rudimentali per pompare l’oro nero. Alcune stime parlano di un centinaio di queste strutture solo nell’area di Mosul e 350 in quella di Deir ez-Zor. Per esportare il greggio, lo Stato Islamico si avvale di una rete di contrabbandieri che hanno in mano le rotte illegali. Questo succede soprattutto in Siria, dove a controllare lo smercio dell’oro nero sono i network criminali chiamati Shabiha, gruppi paramilitari mercenari che si sono conquistati anche un’importante fetta di mercato illegale. Generalmente sono alawiti, la minoranza di cui fa parte anche il presidente Bashar al-Assad, ma ne esistono anche di sunniti, come il Berri Clan di Aleppo. Un’ampia fetta del petrolio estratto viene riutilizzato dallo Stato Islamico per costruire infrastrutture, come strade asfaltate, o immesso nel commercio interno al Califfato, sui mercati delle grandi città come Raqqa e Mosul. Il restante, viene esportato per la maggior parte in Siria e Iraq. Un modo, questo, per limitare i rischi, mantenere i prezzi bassi e guadagnare anche sulle tassazioni relative alle transazioni finali.

“Le raffinerie mobili di Isis”; fonte Ludovico Carlino, ricercatore IHS

“Il territorio controllato da Isis”, fonte liveuamap.com

Giacimenti e rotte del petrolio”, fonti Ludovico Carlino (ricercatore IHS), Financial Times, liveuamap.com, Angela Me (direttrice ricerche UNODC)






Isis mangia il patrimonio artistico e contrabbanda antichità

Hadra, Nimrud, Palmira. E poi la cinta muraria di Ninive e i reperti e le statue del museo di Mosul. Non sono solo questi, però, i siti depredati e distrutti dai miliziani dello Stato Islamico. Sarebbero 4.500 i luoghi di alto valore storico, molti dei quali patrimonio dell’Unesco, sotto il controllo di Daesh. Una vera e propria risorsa economica per le bandiere nere che hanno nel traffico illegale di opere d’arte e antichità una delle voci più redditizie del proprio bilancio.

Sarebbero 4.500 i luoghi di alto valore storico, molti dei quali patrimonio dell’Unesco, sotto il controllo di Daesh

Difficile, però, quantificare quanto i reperti antichi di migliaia di anni abbiano fino ad oggi fruttato ai jihadisti di al-Baghdadi: le stime vanno dai 100 agli oltre 250 milioni di dollari. Cifre alle quali devono essere aggiunte le tasse che i miliziani fanno pagare a trafficanti e corrieri.

Questo contrabbando sfrutta gli stessi punti di uscita verso il mercato estero di altri traffici illegali. A nord, lungo il confine turco, i trafficanti fanno passare i reperti che poi prenderanno destinazioni diverse: dall’Europa al sud-est asiatico, fino agli Stati Uniti. Ma alcune opere d’arte vengono trasportate anche verso sud, dove è attivo anche un mercato dei Paesi arabi.