Il Dossier

Milano, vita da pusher-rider: “Ne ho una valanga in mezz’ora la porto”

Milano - Nell’indagine “The Hole”, lo spaccio di cocaina gestito come un servizio espresso con consegne a domicilio e linguaggio criptato

9 Maggio 2018

Ore 2 del mattino. Milano girata dal centro alla periferia. Scooter, benzina, cocaina. Consegne a domicilio. Rapide, organizzate. Il pusher corre svelto. Via Bassini 42, zona Città studi. Dice: “Fammelo scendere Bassini (…) sono già qua, ciao”. La strada vale un cliente. Ultima consegna. “Dopo chiudiamo”, conferma il capo. Turno agli sgoccioli. Ma non è ancora finita. Il pusher prima di staccare deve mandare il “report” della serata. Via sms: “Lovers 1.040. Zuretti deve 30, Anzani rende 30 vecchio. A Totò rimane 45 giorni totali”. Dicevamo ogni via un acquirente. Ogni numero, soldi pagati o da pagare. Quel “lovers” sta per gli euro, “i giorni” le dosi che, in questo caso, sono rimaste in tasca a Totò, turnista della mattina successiva. “Ascoltami – dice il capo a un altro pusher – dietro quanti giorni ti restano?”. Lo spacciatore non è preciso: “Allora 25 sicuri (…) non lo so Fra, saranno all’incirca una decina di giorni credo 5, 7 giorni”. Il capo taglia corto: “Allora ti mando a Fra da te gli dai lover e i giorni che hai dietro!”

Eccolo il diario del pusher raccontato, intercettazione dopo intercettazione, nell’inchiesta “The Hole”, coordinata dal Nucleo investigativo dei carabinieri di Milano, che giovedì scorso ha portato in carcere 23 persone. Fermiamo per un istante le consegne. E torniamo all’inizio, al capo e al “materiale” (droga, ndr). Dice Giuseppe D’Aiello, campano d’origine, residenza milanese e contatti calabresi: “Ne ho una valanga, basta che tu mi chiami e te la porto tra mezz’ora, sono proprio pieno pieno”. Benvenuti a Coca city. E ancora: “Mi ha detto che fa paura, tutta sfoglia, paura. Mi fido, mi ha detto che è micidiale (…) Vieni a spacchettarla, tu hai il bilancino grosso?”.

Dalle case “imbosco” alle strade è tutto un spicciare affari. Per i pusher come Sara S. o Jacopo P. (poi uscito dal gruppo) lo stipendio è settimanale. Varia, ovviamente, dalle dosi consegnate. Benzina e scooter per girare la città è a carico dell’organizzazione. E così ecco che si può cominciare. In strada, nascosti nel traffico del centro. Dai locali della movida ai palazzi borghesi fino alla prima periferia. Il capo coordina con il cellulare che lui chiama “della fatica”. “Poi mi dici quanto ti manca per Vallazze? Dopo vai al Bulgari che c’è Dimitri. Hotel Bulgari”. È solo l’inizio. Il lavoro prosegue senza sosta. Il capo fa da centralino, raccoglie le ordinazioni e indirizza le consegne. “Ascoltami – dice – Monza 44? Da lì non riesci a fare subito Zuretti (…). Lascia stare questo ti fai subito Mc Porta Romana, Zuretti 31 e poi Dimitri casa, ok?…”. Il pusher risponde: “Monza al 44 l’ho già fatto”. A volte poi il cliente cambia posizione. Nessun problema. In perfetto stile pony express il capo dice: “Jack, Moscova venticinque si è spostato San Fermo”. E l’acquirente è servito. Ci sono modelle, ex starlette, professionisti. A ognuno la sua dose. “Stelline” o “stellone”. Gergo per definire due confezionamenti. Il primo va a chi ha pochi soldi, il secondo supera i 100 euro. Certo la copertura è buona, ma “i puffi spogliati” (carabinieri in borghese, ndr) possono sbucare da dietro l’angolo.

Capita a Sara S., soprannominata “sniffer”, pizzicata con decine di dosi addosso. Un po’ di carcere e di nuovo in strada. La ragazza ha un debito con l’organizzazione. Tocca lavorare gratis. Il capo non ha mezzi termini: “Vedi di comportarti come si deve, ti devi fare tutti, la tua piazza e la piazza di qua, quindi vai da Sandro e poi scappi subito a Bollate a farti gli altri. Devo recuperare i soldi Nina, poi ricominciamo, dopo parliamo di ritornare a lavorare come si deve”. Vita dura quella del pusher. Bisogna sempre avere il sangue freddo, soprattutto quando vieni fermato dai carabinieri. Succede a Mario D, il quale dalla caserma finge una telefonata ai genitori, in realtà avverte il capo. “Papà, sono in caserma, passami la mamma, sono in caserma a Rho, che mi arrestano perché avevo della droga addosso”.

Ma non c’è problema. Un po’ di pazienza e si ricomincia. La coca è un affare che non conosce crisi. Certo la ’ndrangheta ha il monopolio, ma da qualche mese in città due gruppi criminali di etnia sinti, come i Casamonica a Roma, gestiscono zone di spaccio nell’area compresa tra Quarto Oggiaro e il campo nomadi di via Negrotto. Da un lato, secondo i pm, la vecchia batteria di Alan S. (solo indagato) e dall’altra un nome di peso, oggi coperto da omissis, soprannominato Nasca. Le due batterie si contendono il territorio. Nasca, però, vuole prendersi tutto. Dice: “Io ti vendo la coca. Tu la paghi 43 io 37. Tu (ad Alan S.) gli dici che lavori con me. Digli che Nasca è tornato. Noi ci siamo agganciati con gli Strangio. Quello ha i ferri (armi, ndr)?. Beh digli che anche io ho i ferri”. In attesa di sviluppi, il pusher ha ripreso le consegne: “Viale Monza, via Vallazze, piazzale Lotto, San Siro…”. Raccoglie “Lovers” e consegna “giorni”.

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