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Saviano, quando i Casalesi gli dissero che doveva “ringraziare di essere vivo”

In “Un giorno in Pretura” stasera su Rai 3 andrà in onda il dibattimento sul “proclama” contro lo scrittore: processo nel processo, subdolo e kafkiano, che ha provato a mettere alla sbarra la libertà di stampa e di racconto, con l’interrogatorio a tratti grottesco dello scrittore napoletano, la parte lesa. Durante il quale i legali arrivano a dirgli di ringraziare per non essere stato ucciso. Per Saviano il processo che viene trasmesso stanotte è una ferita non rimarginata. Le minacce contro di lui sono il risvolto di una delle pagine più cupe della storia recente del clan

22 Aprile 2017

Stasera a mezzanotte su Rai 3 a “Un giorno in Pretura” andranno in onda due processi. Uno è quello ordinario che si è concluso a Napoli con la condanna dell’avvocato Michele Santonastaso per le minacce di natura camorristica a Roberto Saviano pronunciate durante un altro dibattimento, Spartacus. Intimidazioni contenute nella lettura in aula dell’istanza di remissione presentata dai legali dei boss del clan dei Casalesi secondo i quali Spartacus andava spostato da Santa Maria Capua Vetere perché condizionato dal lavoro dello scrittore di “Gomorra” e della giornalista de Il Mattino Rosaria Capacchione.

L’altro è il processo nel processo, subdolo e kafkiano, che ha provato a mettere alla sbarra la libertà di stampa e di racconto, con l’interrogatorio a tratti grottesco di Saviano, la parte lesa. Durante il quale i legali arrivano a dirgli di ringraziare per non essere stato ucciso. In aula ci sono i giornalisti del Guardian e della Zeit: sono increduli nel vedere Saviano “imputato” di essere ancora vivo. Dal servizio di “Un giorno in Pretura” emerge che i boss Antonio Iovine e Francesco Bidognetti erano al corrente del contenuto dell’istanza di remissione. E quindi delle minacce. La sentenza è arrivata nel novembre 2014: il giudice ha condannato l’avvocato e ha assolto i boss. Non c’è la prova del loro diretto coinvolgimento nella redazione dell’istanza. Nei mesi successivi, Santonastaso è stato condannato in primo grado per associazione a delinquere di stampo camorristico, ritenuto cioè parte integrante del clan.

Avrebbe quindi preso iniziative senza concordarle coi capi. Aveva carta bianca. La ricostruzione ha una sua logica. Che però non convince Saviano, per il quale il processo che viene trasmesso stanotte è una ferita non rimarginata. Le minacce allo scrittore sono il risvolto di una delle pagine più cupe della storia recente del clan. L’istanza viene letta il 13 marzo 2008. Era di fatto un proclama, simile a quelli delle Brigate Rosse durante gli anni di piombo. I Casalesi di Iovine e Bidognetti sono in grande difficoltà, come ammetterà o’ Ninno in uno dei primi verbali da pentito: si sta chiudendo l’Appello di Spartacus in soli tre anni, contro i sette anni del primo grado.

Non più davanti a quattro addetti ai lavori che annusano sospetti di compravendita di sentenze (Iovine in un verbale del 2014 farà nome e cognome di un giudice a suo dire disponibile), ma con gli occhi del mondo puntati addosso grazie al successo di Gomorra. L’istanza di Santonastaso indica quattro nomi – Saviano, Capacchione e i magistrati Federico Cafiero de Raho e Raffaele Cantone – ed è un modo per dividere tra loro le ‘colpe’ della lotta al clan. Saviano viene insultato “pseudo-giornalista prezzolato della Procura” che “dovrebbe fare bene il proprio lavoro”.

Queste ultime sono le stesse, identiche parole del papà di Francesco ‘SandokanSchiavone alle “Iene” di Italia 1. Inizia la strategia del sangue. Si conclude a settembre 2008 con la strage dei neri a Castelvolturno. Sono i colpi di coda della vecchia guardia sgominata con la sentenza Spartacus.

“Un Giorno in Pretura” è anche la storia di un ‘processo alla stampa’: quella che racconta, denuncia, vigila, fa inchieste parallele. E per questo viene odiata dalle mafie di ogni tipo.

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