Paesi senza governo. Governi senza Paese

25 Settembre 2016

Qualcosa di nuovo accade sotto i nostri occhi: i Paesi senza governo. Non pensate all’abbandono delle fabbriche, quando i padroni scompaiono e gli operai restano accanto alle macchine inutili. I Paesi senza governo (ce ne sono molti, di tipo molto diverso, e cresceranno) sono un nuovo modo di collegare il potere alla forza oppure a una burocrazia, oppure a un progetto di demolizione delle strutture e istituzioni precedenti, oppure allo spazio necessario all’espandersi delle idee di una persona sola, che però non è un dittatore vecchio stile, ma qualcuno che ha dissuaso in tanti modi diversi (non tutti crudeli, non tutti violenti, alcuni anche invitanti) a non invadere il suo campo e a lasciarlo fare. A volte usa la grancassa della propaganda e a volte no, semplicemente facendosi scegliere e sostenere in modo diverso. In un primo gruppo di senza governo trovate la Somalia, il Sudan e il Sud Sudan, l’Etiopia, l’Eritrea. Nonostante le apparenze di regolarità formale, sono tanti i Paesi africani che hanno governi minimi, ridotti quasi solo a una città, un clan, una etnia. Senza governo, nell’area più conflittuale del Medio Oriente, sono la Siria, l’Iraq, lo Yemen, la Libia. Ognuno di questi Paesi ha governi che controllano spazi molto piccoli, o nessuno spazio, una quantità minima o del tutto assente di sovranità.

Un secondo tipo di Paese senza governo è rappresentato dalla Turchia. La brutta avventura di un colpo di Stato (forse vero e forse no) ha scatenato la lotta (un fatto radicalmente nuovo) delle istituzioni contro se stesse, l’esecutivo contro l’esecutivo, il giudiziario contro il giudiziario, i militari contro i militari, dando luogo alla più inedita delle dittature: non il tiranno contro le istituzioni, ma lo sgombero e lo svuotamento di tutte le aree di governo o di gestione amministrativa, in modo che nessuno governi.

Erdogan ha svuotato i palazzi, e in questo ha dimostrato l’esistenza di un nuovo tipo di dominio solitario. Lo spettacolo di Erdogan, da solo, di fronte a folle immense e sottomesse, mima solo in apparenza il passato. Erdogan si presenta non come colui che governa, ma come colui che salva i turchi dall’essere governati. Non sta distruggendo o costruendo istituzioni di un nuovo regime. Sta svuotando, cancellando, liberando spazi che devono restare vuoti. L’operazione italiana di “governo delle riforme” (e che è in realtà una riforma per abolire il governo) è molto simile (dedotta la violenza ma non la minaccia) alla intensa attività anti-governo di Erdogan.

Allo stesso modo, Renzi vuole svuotare il suo partito, la sua maggioranza, lo spazio, l’ingombro dei suoi ministri, la funzione tradizionale e limitata del vecchio “presidente del Consiglio”. Si vede benissimo che Renzi vuole comandare, non governare. E si vede benissimo che i Cinque Stelle non vogliono governare, ma spingere il popolo a farlo, a qualunque costo, con un cambiamento clamoroso (ma non più del renzismo) di rappresentanza e di democrazia. Il califfato invece, ripetendo il tentativo elusivo e universale di Osama Bin Laden, conta sul governo diffuso, apparentemente nelle mani di una cittadinanza volontaria sparsa nel mondo, ma con un solo, ignoto bottone di comando. Il califfato, a differenza di Bin Laden, ha coltivato con astuzia la trovata di insediamenti territoriali temibili. Ma quasi solo come spettacolo, benché sanguinario e mortale, di un potere effimero fondato su terrore e attrazione.

Poi c’è la Spagna, un Paese perfettamente inserito in ciò che chiameremmo il sistema occidentale di democrazia, se non ci fosse la pretesa di governare senza governare. L’oscillazione, tipica delle democrazie, fra maggioranze nette e coalizioni costituite per governare senza una maggioranza, ma attraverso accordi e compromessi, si è messa fuori dal primo sistema per volontà degli elettori, che non hanno voluto indicare alcuna maggioranza. E fuori dal secondo, per volontà degli eletti: quattro gruppi uguali non accettano nessun tipo di aggregazione. L’aspetto sensazionale del caso Spagna è che quel Paese (che pure si appresta per la terza volta a tornare al rito delle urne) senza governo funziona bene. Cittadini e burocrati si comportano come se di governo non ci fosse alcun bisogno. Si sta profilando (ma, come si è visto, non è la Spagna l’unico caso) la persuasione che prima d’ora aveva toccato i parlamenti sviliti e indicati come la causa prima dei mali e delle decisioni sbagliate, persino quando il loro potere (è il caso italiano) era (è) minimo. In altre parole il fenomeno della liquefazione dei partiti, dopo avere intaccato credibilità, rispettabilità e necessità di ogni istituzione (dai parlamenti alla giustizia), adesso sta attaccando i governi, non attraverso l’opposizione a questo o quel tipo di governo, ma nel disconoscere la utilità di avere un governo. La novità è grande, forse sarà il futuro. Ma è un mondo sconosciuto.

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