Mafia Capitale: se le piovre si evolvono, aggiorniamo anche le leggi

27 Luglio 2017

Che nel caso Contrada la Cedu abbia preso un colossale abbaglio si può dimostrare anche ragionando su “Mafia capitale”. Premettiamo alcuni dati notori. È ormai da oltre due secoli che le mafie impestano il nostro Paese. Ferma la costante ricerca di “relazioni esterne” capaci di assicurare le complicità necessarie per sopravvivere così a lungo, esse hanno dimostrato di fase in fase una camaleontica capacità di mutare pelle, cioè di adattarsi via via alle specifiche esigenze del “teatro” delle loro imprese criminali. Ma se la mafia sa adeguarsi, dobbiamo adeguarci anche noi. Interpretando con perspicacia la normativa esistente, oppure suggerendone i necessari aggiornamenti.

Sul versante della interpretazione giurisprudenziale si registrano significative capacità di cogliere con intelligenza l’evoluzione della mafia. In particolare riconoscendo che è metodo mafioso, rientrante a pieno titolo nella previsione del 416 bis, anche assoggettare gli imprenditori alla volontà e alle regole del sodalizio criminale, con conseguente lesione della libertà d’impresa e concorrenza, senza che occorra la consumazione di violenza fisica o minaccia esplicita.

Sarebbe però rischioso rimettere tutto alla interpretazione giurisprudenziale. Essa infatti, per quanto illuminata, può registrare oscillazioni e divergenze. Lo dimostra il tormentato iter che ha portato il Tribunale di Roma ad escludere il 416 bis nel processo già definito “Mafia Capitale”. Con la loro motivazione i giudici proveranno a spiegare come e perché abbiano deciso in questo modo, ma è un fatto che la Cassazione (pronunziando nell’ambito dello stesso processo in sede di valutazione delle misure cautelari) si era già espressa in senso tutt’affatto contrario, riconoscendo la configurabilità del 416 bis. E non è l’unico caso di conflitto fra Cassazione e giudici di merito romani in materia di associazione mafiosa. Clamoroso (come ha rilevato C.F. Grosso su La Stampa) è quanto accaduto con riguardo ai fatti di Ostia. Il relativo processo si è sdoppiato, avendo alcuni imputati scelto il rito abbreviato e altri quello ordinario. Il primo troncone si è concluso in Cassazione (9.6.2016) con la conferma della condanna per associazione mafiosa. Per contro, nel secondo troncone, quattro giorni dopo (13.6), la Corte d’appello di Roma ha riformato la sentenza di primo grado negando la configurabilità del 416 bis.

E allora: se la concezione di mafia e di mafioso si è allargata fino ad inglobare nuove prassi; se la giurisprudenza non riesce a trovare un orientamento univoco quanto meno prevalente; sorge il problema se la normativa attuale, pur adatta a colpire la “vecchia” mafia, sia anche idonea a contrastare efficacemente quella “nuova”. Oppure richieda un “tagliando”, per mettersi al passo con le “novità”.

Ma concludiamo tornando ai giureconsulti della Cedu. Speriamo che non abbiano mai notizia delle oscillazioni e divergenze giurisprudenziali sul delitto di associazione mafiosa riscontrabili in “Mafia capitale” e dintorni. Altrimenti, abbaglio per abbaglio, come hanno negato – a causa appunto di oscillazioni e divergenze simili – la configurabilità del reato di “concorso esterno” in associazione mafiosa nel caso Contrada, così potrebbero negare finanche la configurabilità dello stesso delitto di associazione mafiosa. O forse capirebbero finalmente che anche in materia di mafia le oscillazioni giurisprudenziali sono fisiologiche: non determinano l’esistenza del reato ma anzi la presuppongono. Al netto di tutti i sofismi e di tutte le fumisterie.

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