Marco Travaglio

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Molto rigore per tutti

11 Aprile 2017

Uno dei filoni dell’inchiesta Consip, quello che vede Tiziano Renzi indagato per traffico d’influenze illecite, perde un elemento d’accusa a carico del padre dell’ex premier: la frase “Renzi l’ultima volta che l’ho incontrato”, che i carabinieri del Noe nell’informativa alla Procura attribuivano all’imprenditore Alfredo Romeo in un colloquio (intercettato) col suo consulente Italo Bocchino, fu in realtà pronunciata da Bocchino. Il quale ieri ha precisato che si riferiva a Renzi Matteo, da lui incontrato quando faceva il politico, e non a Tiziano, mai conosciuto. Per capire perché i militari abbiano sbagliato ad attribuire quella frase, tra le mille raccolte nelle intercettazioni, la Procura di Roma ha indagato per falso materiale e ideologico il loro capitano Gianpaolo Scafarto. Cioè l’investigatore che ha svelato il bubbone Consip, piazzato le cimici (poi fatte sparire dai vertici dopo la fuga di notizie), ricostruito i pizzini di Romeo fin nella discarica e raccolto la testimonianza dell’ad Consip Luigi Marroni contro il ministro Luca Lotti e Tiziano Renzi.

Il reato di falso presuppone il dolo, cioè l’intenzione di alterare i fatti. E l’accusa ovviamente è tutta da dimostrare, come sempre. Ma è molto pesante. A lume di naso, è improbabile che un ufficiale esperto come Scafarto abbia intenzionalmente messo in bocca a Romeo le parole di Bocchino, che nelle trascrizioni delle intercettazioni alla base dell’informativa sono attribuite correttamente a Bocchino e la cui reale paternità risulta dall’ascolto della bobina: se avesse architettato quella manovra sperando di incastrare babbo Renzi e ingannare i pm, gli avvocati e i giudici, sarebbe un idiota, visto che le sue stesse carte la smascherano e lo autoincastrano. Più probabile l’errore materiale: sempre spiacevole, ma umanamente comprensibile in quell’enorme mole di elementi da esaminare. In ogni caso si può capire che i pm usino tutto il rigore possibile per mettere l’indagine al riparo dalle polemiche politiche, visto l’altissimo livello degli indagati.

Non è la prima e non sarà l’ultima volta che un investigatore sbaglia. Era già accaduto nell’inchiesta Mafia Capitale con le intercettazioni dell’assessore Pd Daniele Ozzimo, arrestato e poi prosciolto su un episodio (ma poi condannato per un altro) per una frase di Salvatore Buzzi interpretata al contrario (il ras delle Coop diceva: “Non piglia soldi”, ma il “non” era saltato o era stato omesso), corretta dagli avvocati, ma senza che nessuno mettesse in dubbio la buona fede dei Carabinieri. Stavolta l’errore è stato scoperto dai pm, in base alle stesse carte del Noe.

Ma la decisione di iscrivere per falso l’ufficiale che ha coordinato un’indagine che ha già retto al vaglio di due Procure (Napoli e Roma), di un gip e del Riesame, e di interrogarlo (con l’immediata uscita della notizia) non era scontata. Come non lo era la scelta di togliere solo al Noe la delega dell’indagine, facendo ricadere la colpa delle fughe di notizie solo su quel gruppo (e non sull’Arma di Napoli o sulla Guardia di Finanza).

Ora si spera che la stessa energia venga spesa anche nell’inchiesta principale, per approfondire i tanti elementi e interrogare i tanti protagonisti finora trascurati. La Procura di Roma ha ricevuto a fine dicembre da quella di Napoli le carte del Noe su Consip. E non ha perquisito Tiziano Renzi. Non ha sentito l’ex autista del camper di Matteo Renzi che, due giorni dopo l’inizio delle intercettazioni, telefonava a Carlo Russo, amico e ora coindagato di babbo Tiziano, per avvertirlo: “Dice il babbo di non chiamarlo”. Non ha ascoltato i parlamentari di Ala Ignazio Abrignani e Denis Verdini che – secondo Marroni – sponsorizzavano una cordata avversa a Romeo. Non ha disturbato il tesoriere Pd Francesco Bonifazi sulla trattativa proposta da Russo a Romeo per l’Unità. Non ha convocato l’avvocato Alberto Bianchi, presidente della fondazione renziana Open e superavvocato di Consip, per chiedere lumi sui rapporti tra Bonifazi e Manutencoop. E non ha risentito Marroni, il teste-chiave che a Napoli ha accusato Lotti, Tiziano e Russo, per cristallizzare il suo verbale prima che cambi versione. Marroni riferisce di avere subìto da Russo “un vero e proprio ricatto, ancor più spregevole perché non mi dava scelta se non rinunciare al mio posto di lavoro… Dopo qualche settimana… Tiziano Renzi mi ribadì di aiutare il Russo nella gara d’appalto di cui lo stesso Russo mi aveva più volte parlato, precisandomi che era una persona a lui molto vicina”. Poi aggiunge: “Delle intercettazioni ambientali nel mio ufficio, l’ho saputo non ricordo se da Lotti o da Centrone Nicola, stretto collaboratore di Lotti”. Ma non risulta che Centrone sia stato interpellato dai pm, che invece ieri hanno sentito l’urgenza di convocare il capitano che aveva raccolto quelle dichiarazioni.

Ora, dato atto a babbo Renzi che Romeo non disse di averlo incontrato, si tratta di capire l’importanza di questa novità nell’inchiesta che lo riguarda. C’era solo quella frase a collegare babbo Renzi a Romeo e a giustificare l’accusa dei pm di essersi “fatto promettere denaro” per sé e per Russo dall’imprenditore per favorirlo nell’appalto Consip più grande d’Europa? No, c’era e c’è ben di più: una serie di altri elementi che, sfumato quello, restano tutti in piedi. Cinque fattuali e uno logico.

1) Alfredo Mazzei, commercialista napoletano del Pd, racconta prima a La Verità poi ai pm di un incontro fra Romeo, Tiziano e Russo in un ristorante, dove Romeo entrò da un ingresso secondario. Poi a Repubblica aggiunge che era una “bettola” senza pretese e fu lo stesso Romeo a parlargliene: “Mi disse che era rimasto molto colpito da quell’incontro per la spregiudicatezza dei suoi interlocutori”. Tiziano e Romeo negano ma, essendo indagati, non hanno l’obbligo della verità.

2) Daniele Lorenzini, sindaco Pd di Rignano e medico di Tiziano, racconta che papà Renzi nell’ottobre 2016 gli confidò di essere terrorizzato da un’inchiesta a Napoli “su una persona che avrò visto una volta” (se non Romeo, chi?). Lo stesso Lorenzini, a una “bisteccata” a casa di babbo Renzi, sentì il generale Saltalamacchia dirgli “Stai lontano da quella persona di Napoli” (se non Romeo, chi?).

3) In due pizzini Romeo annotò le iniziali di Tiziano e Russo, T. e C.R., accanto alle cifre “30.000xmese” e “5.000 ogni 2 mesi” e “2 incontri quadro tenuti da T. con M. e L.”.

4) Il governatore pugliese Michele Emiliano nel 2014 chiede a Lotti notizie di Russo che vuole incontrarlo con Tiziano per un affare in Puglia. Risposta: “Russo lo conosciamo. Se lo incontri 10 minuti non perdi il tuo tempo’”.

5) Tiziano incontra più volte Marroni e Romeo, vede sovente Russo per discutere anche di appalti Consip. Russo parla a nome di papà Renzi (“Tiziano… mi dice di chiederle… se per lei non è un problema, dice che lui è a disposizione, qualsiasi cosa…”). Anche quando consiglia a Romeo di entrare nell’Unità, per tre motivi: “Questo discorso aiuta anche il suo colloquio con Tiziano. Deve essere frequente”; da editore dell’Unità, avrebbe buon gioco a giustificare i suoi rapporti col padre del premier; e risolverebbe “un problema anche al figlio che è incazzato come una scimmia” con l’editore Massimo Pessina, che vorrebbe “far fuori”. Ma Pessina l’Unità se la tiene stretta: perde 400mila euro al mese, ma si rifà incassando soldi a palate con appalti pubblici da amministrazioni e aziende di area Pd (vedi Report).

6) Se babbo Renzi non c’entra nulla con Romeo & Consip, perché qualcuno (i vertici dell’Arma o chi per essi) si affretta a svelare proprio all’intero Giglio Magico renziano le indagini e le cimici segrete su Romeo & Consip? E perché se ne allarma a tal punto da non parlare più al telefono e da incontrare solo pochi amici nel bosco? Mai visto un innocente impegnarsi tanto per sembrare colpevole.

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