Marta Marzotto, addio a nostra signora dell’allegria

30 Luglio 2016

Adesso che se ne è andata – in realtà anche lungo tutta la sua vita – si affollano le definizioni: modella, stilista, musa. La più in voga è “regina dei salotti”, ma per noi del Fatto era semplicemente la “nonita” di Beatrice, anche se non aveva nulla dell’iconografia della nonna, anziana, canuta, fragile. Perché – come amava dire di sé – non aveva età. O forse perché ha attraversato la vita con quella leggerezza, spesso scambiata per superficialità, che le è costata infinite critiche. Ma il suo tratto distintivo era l’allegria.

Marta Vacondio, papà casellante delle Ferrovie e mamma mondina – era nata vicino a Reggio Emilia nel 1931. E pure lei aveva fatto la mondina in Lomellina: “Mi fasciavo le gambe per non graffiarmi con le foglie taglienti e non farmi pungere dalle zanzare”. E bene faceva a proteggere quelle gambe lunghissime, davvero mozzafiato, che si vedono nelle foto con i figli piccoli al mare. Il conte Umberto Marzotto l’aveva sposato nel 1954. Da lui avrà cinque figli: Paola, Diamante, Vittorio, Matteo e Annalisa, mancata nel 1989. Con il matrimonio muta il paesaggio, la scenografia della vita di Marta diventa il mondo. Incontra intellettuali, scrittori e dittatori, come ha scritto nella sua biografia, Smeraldi a colazione (Cairo editore): Hemingway che si sedeva a tavola così ubriaco che “ruttava e scoreggiava” e Francisco Franco in una battuta di caccia alle pernici in Spagna.

“La Contessa Serbelloni Mazzanti vien dal mare ero io. Nel disegnarne il personaggio in Fantozzi, Paolo Villaggio si era ispirato a me. In famiglia lo sapevano e ridevano”, aveva detto in un’intervista al Fatto qualche anno fa. Gli anni passano e la contessa Marzotto diventa celebre per le feste e le cene, tra l’amata Cortina, Roma e Marrakech: una mondanità che anticipa di decenni i reportage di Dagospia.

Fa la stilista di vestiti e disegna gioielli, per i quali ha avuto una vera passione. Se le dicevi “che bella collana hai”, succedeva che lei se la togliesse per regalartela: della sua generosità, in queste ore, gli amici non smettono di parlare. E poi, e poi ci sono gli amori di cui non si può tacere anche se troppo è già stato scritto. Ovviamente Renato Guttuso che di lei era pazzo, letteralmente. L’ha ritratta in mille quadri, spesso senza abiti, anche se lei giura di non aver mai posato: “Né per lui, né per nessun altro. Mai: “Né vestita, né nuda, né seminuda”. Restano i disegni – di cui le sue case erano colme – dove l’amore esce dalla tela con una potenza impressionante.

Che posasse o no, il pittore adorava la sua musa. Si erano incontrati a una festa nel 1970: “Sono una sua ammiratrice”. E lui: “Dal prossimo minuto diventerò suo grande ammiratore anch’io”. Seguirono vent’anni di relazione forsennata, con alti e bassi. Compresa la parentesi con il “rivoluzionario da salotto”, Lucio Magri, di cui il pittore fu gelosissimo. Al punto di scrivere una preghiera che iniziava con “Ave Martina” e finiva con “E liberaci dal Magri. Amen”.

Migliaia di lettere raccontano la tormentata storia: “Il mio pensiero non ti lascia perché io vivo del pensiero di te, sono avvolto in una dolce nuvola d’oro che si chiama Marta e fuori da questa nuvola mi sento solo e sperduto”. Un epistolario che lei non ha potuto rendere pubblico, a causa di una lunga battaglia legale con l’erede del pittore: “Dopo 40 anni non posso divulgare i sogni che Renato mi dedicava e non capisco il perché. Quando morì, le lettere vennero sbattute ovunque. Giornali, settimanali, riviste. Creandomi danni enormi e devastando il mio matrimonio. Avevo deciso di invecchiare vicino a Umberto, ma lo scandalo rese la situazione ingestibile”. Del resto Leonardo Sciascia l’aveva avvertita: “Te la faranno pagare”. E aveva ragione.

Negli ultimi giorni in clinica “nonita” aveva trasformato la sua stanza in un suk: ha recuperato due enormi pacchi di braccialetti indiani per regalarli a tutte le infermiere, dottoresse e mogli dei medici. In camera ha fatto appendere le sue foto mentre bacia Sean Connery e Kevin Kostner. Non si è lamentata neanche una volta, raccontano i familiari. Tutti i giorni diceva: “Mai stata meglio”. Ed era felice. Così tanto che aveva cominciato a scrivere il terzo libro. Come insegna Vecchioni, “La vita è così grande che quando sarai sul punto di morire, pianterai un ulivo, convinto ancora di vederlo fiorire”. E Marta Marzotto la vita se l’è divorata con gusto. Fin qui.

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