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Manovra, scontro sul deficit M5S e Lega contro la linea Tria

Nel vertice a Palazzo Chigi niente accordo sulle risorse per finanziare le misure Di Maio, scontento, riunisce i ministri. Malumore tra gli alleati: “Manca coraggio”

Di Luca De Carolis e Carlo DI Foggia
18 Settembre 2018

È un numeretto, ma da quello dipende il futuro della prossima legge di bilancio. S’intende il livello del deficit pubblico che il governo fisserà per il 2019. Ieri è stato al centro del vertice a Palazzo Chigi tra il premier Giuseppe Conte, Luigi Di Maio, e Matteo Salvini insieme al ministro dell’Economia Giovanni Tria per fare il punto sulla manovra, che ad oggi ammonta a oltre 30 miliardi. L’incontro è andato come peggio non si poteva, almeno secondo i 5Stelle. Tanto che al termine Di Maio ha radunato ministri e sottosegretari del M5S in un ristorante romano per studiare il da farsi. Perché è scontento di come Tria vuole impostare la manovra, considerata dal capo del M5S “poco coraggiosa”. Anche perché, ripete ai suoi, “sul reddito di cittadinanza non si indietreggia di un millimetro”. E può essere il preludio a uno scontro durissimo.

Prima ancora dei contenuti, la discussione nel governo è su come finanziare i diversi interventi. Da giorni Tria, fautore di una linea assai morbida con Bruxelles, fa sapere che l’obiettivo è fissare nel Documento di economia e finanza, che fa da base alla manovra e verrà presentato il 27 settembre, un deficit all’1,6-1,7% del Pil il prossimo anno, rispetto allo 0,8% a cui si era impegnato il governo Gentiloni. In questo modo mostrerebbe un lieve calo rispetto all’1,8% con cui chiuderà quest’anno, evitando così uno scontro con la Commissione europea. La linea, risulta al Fatto, non piace ai due alleati di governo. L’obiettivo di M5s e Lega è arrivare oltre il 2%, così da aprire uno spazio fiscale da almeno 15 miliardi. “Altrimenti tutto non ci sta”, spiega un fonte leghista. Anche perché la crescita rallenta e l’obiettivo del Def di un Pil a +1,5% quest’anno non verrà centrato (probabile si arrivi a +1,1%), e questo ha un effetto sul deficit che l’anno prossimo partirà dall’1% del Pil. I maggiori margini consentiranno di rinviare senza patemi l’aumento dell’Iva (vale lo 0,7%) e far fronte alle spese obbligatorie, il resto verrà usato per avviare il programma di governo, per cui mancano le risorse.

Solo alzando il deficit si riuscirebbe infatti a dare qualche segnale su tutti i capitoli portanti: flat tax, la revisione della riforma Fornero e il reddito di cittadinanza. “È stato un vertice proficuo, manterremo l’impegno sui tre capitoli”, ha spiegato Salvini. Ed è la stessa linea ufficiale di Conte. Ma 5Stelle in realtà sono furiosi. Perché un accordo non c’è.

Per avviare il reddito di cittadinanza il M5s pretende da Tria, assai riluttante, uno stanziamento di almeno 8 miliardi, anche accorpando i due miliardi messi dal governo Gentiloni per il reddito di inclusione. Ieri l’ennesima resistenza del ministro ha urtato i grillini. “Ha sbagliato l’impostazione della manovra”, spiegano fonti di maggioranza. E anche sulle altre misure ci sono poche certezze.

La Lega punta ad alzare il regime forfettario per le partite Iva (costa 1,5-2 miliardi). Sulla “pace fiscale”, o meglio il condono voluto dalla Lega lo scontro è totale. “Non accetteremo nessuna forma di condono”, ha spiegato Di Maio. Ossia, è inaccettabile l’idea ventilata dal sottosegretario leghista al Tesoro, Massimo Bitonci: tetto a un milione a contribuente per le somme contestate dal fisco, e un meccanismo permanente per chiudere le liti pendenti (oltre a una riedizione tris del condono sui capitali esteri). Il M5s invece chiede una misura una tantum limitata ai piccoli contribuenti in difficoltà economica.

Il capitolo più corposo riguarda però le pensioni. La possibilità di alzare quelle minime a 780 euro per arrivare alla “pensione di cittadinanza”, annunciata da Di Maio vale oltre 10 miliardi, e ne servono altrettanti per la quota 100 (tra età d’uscita e contributi versati) che vuole Salvini. Parte delle risorse dovrebbe arrivare dal taglio delle “pensioni d’oro”, che secondo i 5stelle riguarderà la parte non coperta dai contributi versati per gli assegni a partire dai 4.500 euro netti mensili. E su questo pare esserci accordo. Da qui, però, si potranno ricavare non più di 400 milioni. E al momento mancano coperture per almeno dieci di miliardi. Così l’unica speranza è riuscire a piegare Tria.

di Luca De Carolis e Carlo Di Foggia

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