Il caso

L’infezione letale: il dottor Demo trova chi lo uccise

Batterio killer in Veneto - Contratto in sala operatoria, 6 vittime e 18 contagiati: tutti avevano subito un intervento al cuore

21 Novembre 2018

“So che devo morire. Per questo ho voluto raccogliere le prove di quello che è successo, per aiutare la mia famiglia e le altre persone che si sono ammalate. Perché voglio che siano individuati i responsabili e che nessun altro si ammali”, è questo il messaggio di Paolo Demo, il medico vicentino ucciso da un batterio killer. Altre cinque persone sarebbero morte per la stessa causa. Il testamento del dottor Paolo sono due faldoni pieni zeppi di analisi, cartelle cliniche e di un fascicoletto scritto in formato word, fitto fitto. È il frutto di un’inchiesta personale andata avanti due anni, nonostante il male che lo consumava. Un diario della malattia, dal gennaio 2016 a oggi.

Demo è morto il 2 novembre a 66 anni. Dopo poche ore i suoi famigliari hanno consegnato migliaia di pagine agli avvocati Pier Carlo Scarlassara e Raffaella Di Paolo che hanno presentato un esposto alla Procura di Vicenza. Subito è partita l’inchiesta: i decessi sospetti sono 6, le persone infettate sarebbero 18 (tutte in Veneto). L’ipotesi di reato è omicidio colposo. Tra gli indagati due ex direttori della Asl. Il colpevole? È il batterio chimaera, che si sarebbe annidato nelle apparecchiature del reparto cardiologia. In particolare in quella che serviva per scaldare il sangue quando, durante gli interventi, viene praticata la circolazione extracorporea. Un batterio terribile, il chimaera: si insedia nel cuore, resta latente per mesi, anni, poi all’improvviso esplode in una specie di ascesso. Il rischio di morte, ricordano gli specialisti, può arrivare al 50% dei casi.

Tutto comincia nel gennaio 2016, quando Demo viene operato per la sostituzione della valvola aortica all’ospedale San Bortolo dove lavora. L’intervento pare riuscito, ma dopo sei mesi Demo comincia a stare male e compie le analisi. È un medico esperto, molto stimato, per trent’anni ha fatto l’anestesista nello stesso ospedale. E adesso deve occuparsi di un paziente molto particolare: se stesso. Dolore ai muscoli, rossore, tremiti notturni. E la nausea. Demo capisce: ha contratto il batterio chimaera in una forma particolarmente severa. E non si fa sconti: “So che non ce la farò”, diceva così questo medico dall’aspetto distinto, il fisico asciutto, i capelli brizzolati e i baffi. Ma non si è arreso: da quel giorno comincia la sua indagine personale, compiuta su se stesso, sul proprio corpo. Demo annota sintomi, produce analisi e cartelle cliniche. Non solo: nonostante la malattia che avanza riesce a rintracciare i nomi degli altri possibili pazienti del San Bortolo infettati dal batterio (vivono tra Vicenza, Padova e Treviso). È tutto racchiuso in quei faldoni, insieme con le delibere dell’ospedale. Tutto. Perché il punto adesso è capire se qualcuno a Vicenza sapeva e non ha preso provvedimenti. È dal 2011 infatti che l’allarme per il batterio killer era scattato nel mondo.

La ditta produttrice, LivaNova, aveva invitato gli ospedali in possesso dell’apparecchio per la circolazione extracorporea a sanificarlo. Non era stato ritenuto necessario il ritiro dell’apparecchio. “Gentile cliente, negli ultimi due anni LivaNova e la comunità cardiochirurgica hanno appreso molto su un rischio recentemente identificato per i pazienti operati a cuore aperto di contrarre infezioni da microbatteri non tubercolari”, scriveva la società produttrice. Aggiungeva: “I micro batteri sono diffusi in natura, nel terreno, nei sistemi di distribuzione dell’acqua, specialmente negli impianti di ricircolo dell’acqua calda di ospedali e condomini. Solitamente non sono dannosi, ma in rari casi possono causare infezioni in pazienti con patologie gravi o con sistema immunitario compromesso”.

Sarebbe successo questo al San Bortolo: “Ora dobbiamo capire – riferiscono gli investigatori – se l’azienda ospedaliera fosse stata avvertita e se avesse preso precauzioni”. Ma gli inquirenti nel loro lavoro hanno accanto un investigatore in più: è il dottor Demo che è riuscito a investigare perfino su se stesso. A compilare febbrilmente quel rapporto “perché non capitasse a nessun altro”. ‘Invio’, ha schiacciato sulla tastiera del pc dieci giorni prima di morire: la denuncia-testamento era pronta.

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