L’intrigo - Una gara da 2,7 miliardi di euro

L’appalto più grande d’Europa: indagini, spie e Giglio Magico

La mega commessa non assegnata, l’ipotesi corruzione e le “soffiate” attribuite al ministro Lotti e ai due generali

17 Febbraio 2017

Una gara d’appalto gigantesca: 2,7 miliardi di euro per la gestione dei servizi di tutti gli uffici della Pubblica amministrazione. L’imprenditore Alfredo Romeo è risultato primo in graduatoria per tre lotti dell’appalto per un valore di 609 milioni di euro. I lotti non sono ancora assegnati. Solo verifiche formali, dicono alla Consip. Certo il clima giudiziario non aiuta la celerità. Tra stesura della graduatoria e assegnazione è intervenuta a gamba tesa la Procura di Napoli ipotizzando una presunta corruzione da parte di Romeo del manager della Consip Marco Gasparri. I pm Henry John Woodcock, Celeste Carrano ed Enrica Parascandolo hanno iscritto nel registro degli indagati Romeo oltre che per la sua corruzione anche per associazione a delinquere. Comunque Romeo ha tutti i diritti di aggiudicarsi la gara perché è innocente fino a prova contraria e in passato fu indagato, arrestato e poi assolto.

Martedì 20 dicembre 2016 gli investigatori napoletani entrano nella sede Consip a Roma e acquisiscono i documenti sulla mega-gara. Poi sentono l’amministratore delegato Luigi Marroni per chiarirsi un dubbio: aveva saputo dell’indagine tanto da aver fatto bonificare gli uffici dalle microspie. Da chi? Messo all’angolo dai pm che lo sentono come persona informata sui fatti, obbligato a dire la verità, nonché consapevole di essere stato ascoltato e pedinato, Marroni fa i nomi di chi gli avrebbe svelato l’esistenza dell’indagine: il presidente della Consip Luigi Ferrara, che lo aveva saputo – a suo dire – dal comandante dei carabinieri, il generale Tullio Del Sette; poi il ministro Luca Lotti e il comandante dei carabinieri della Toscana, il generale Emanuele Saltalamacchia.

Ferrara, sentito a ruota dai pm, sminuisce il ruolo di Del Sette ma il comandante viene comunque inizialmente indagato con Lotti e Saltalamacchia per favoreggiamento e rivelazione di segreto. Il fascicolo finisce a Roma per competenza. Del Sette, sentito il 23 dicembre dal pm Mario Palazzi, nega. Poi viene prorogato per un altro anno al vertice dell’Arma da Gentiloni che probabilmente avrà avuto garanzie informali di una futura archiviazione. Viene poi sentito Filippo Vannoni, altro fedelissimo renziano, che conferma di aver saputo dell’inchiesta e delle intercettazioni da Luca Lotti e che, a suo dire vagamente, era informato dell’indagine anche l’ex premier. Il 27 dicembre il pm romano Palazzi riceve il ministro dello Sport. Che nega. E anzi racconta di un incontro casuale con Vannoni in treno mentre quello andava a Napoli dai pm. E che Vannoni, rientrando, si ferma a Roma per comunicargli che ha fatto il suo nome ai pm, anche se sarebbe stata una falsa accusa.

È il merito dell’indagine madre di Napoli – a parte queste doppie versioni e giravolte inspiegabili – a preoccupare molto dalle parti di Rignano sull’Arno e Pontassieve. Pochi mesi dopo, la presunta “dritta” del comandante Del Sette ai vertici Consip, a Rignano, patria dei Renzi, succede qualcosa di strano secondo un articolo de La Verità. Giacomo Amadori il 6 novembre sul giornale di Maurizio Belpietro scrive: “Babbo Renzi è agitato per un’inchiesta di una Procura del Sud… dovrebbe essere Napoli”. Poi il racconto che gli amici più stretti di Tiziano a Rignano gli avrebbero confidato che se fosse uscita la notizia prima del 4 dicembre, Matteo avrebbe perso il referendum. Cosa che gli è poi riuscita senza l’aiuto paterno. A preoccupare è un nome: Carlo Russo, 33enne di Scandicci, che aveva contatti con il padre dell’ex premier e proprio con Romeo.

Russo a Romeo ha proposto di salvare il quotidiano l’Unità. Non solo. Russo e Romeo avrebbero discusso di pagamenti all’estero di consulenze che nascondevano, per gli investigatori, vere “tangenti”. Accuse da provare e forse penalmente irrilevanti perché i due avrebbero solo prospettato i pagamenti sospetti. Il disegno però non si è mai realizzato. E probabilmente non ha aiutato a passare dalle parole ai fatti la colossale fuga di notizie sull’indagine che ha tagliato le gambe ai pm e ha avvertito in tempo quasi reale gli intercettati. Ora si scopre cosa bolliva nella pentola degli investigatori. Nel decreto di perquisizione dei pm napoletani del 3 febbraio a proposito di Romeo si legge: “Si fa espresso riferimento alla prospettiva di stipulare fittizi contratti di consulenza pianificando dunque, la emissione e la utilizzazione di fatture relative a prestazioni inesistenti, da utilizzare per ‘mascherare’ il pagamento di vere e proprie tangenti erogate da Romeo per le consuete finalità, tutto ciò pianificando l’utilizzo strumentale di società estere, e in particolare di una società inglese, pure nella disponibilità dello stesso Romeo e dei suoi familiari”.

Va detto che Romeo, quando Russo lo incontra e gli parla dell’Unità, era un imprenditore senza pendenze, assolto dalle accuse che nel 2009 lo avevano portato ingiustamente in carcere per la storia della gara del global service del Comune di Napoli. Nessuno, sicuramente non Russo, sapeva fosse nuovamente indagato.

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